Associazione Culturale Ducale
corso Vittorio Emanuele, Vigevano


L'Associazione Culturale Ducale è lieta di presentarVi

Verso la luce divina

trittico dantesco
brani della Divina Commedia scelti e commentati da Bianca Garavelli
con accompagnamento musicale del pregiato organo Lingiardi
domenica 4, 18 e 25 novembre, ore 21, chiesa di S. Maria del Popolo


Un'iniziativa realizzata in collaborazione con Fondazione di Piacenza e Vigevano, Istituzione Cultura Città di Vigevano, Confraternita di S. Maria del Popolo e Associazione Musicale Vox Organi

Per capire la Commedia, il poema sacro che parla di tutti noi, delle nostre emozioni e del nostro possibile viaggio alla scoperta di noi stessi, sarebbe necessario leggerlo integralmente, senza ridurlo a grandi scene in cui campeggiano celebri personaggi. Ma questa tendenza a limitare la lettura del capolavoro di Dante ai suoi canti più famosi, specialmente dell'Inferno, a celebrati personaggi come Francesca da Rimini, il conte Ugolino, Ulisse, è diventata la regola a partire dall'Ottocento e, paradossalmente, l'ha salvato dall'oblio, permettendone la riscoperta dopo epoche di sottovalutazione, specialmente nel secolo dei lumi. Le tre serate che potremmo definire di "ascolto guidato" della Commedia si intitolano quindi Verso la luce divina per creare una sorta di percorso rappresentativo dell'intero poema, e soprattutto per non dimenticare che il viaggio di Dante nell'Aldilà è iniziato proprio per raggiungere la sorgente della luce del Creatore che «per l'universo penetra e risplende», l'empireo, il non-luogo eterno in cui vivono Dio e le anime beate. Se il poeta è passato prima attraverso l'Inferno e il Purgatorio, lo ha fatto per ragioni didascaliche, perché i suoi lettori devono anche vedere, sentire, toccare con mano la tragica condizione eterna di chi ha rifiutato Dio, e di chi, al contrario, soffre temporaneamente per raggiungerlo. Sono dunque un invito a riprendere tra le mani questi versi magnifici, in cui l'arte della parola si mette al servizio di un contenuto sublime, procedendo oltre questi tre canti, indubbiamente fra i più riusciti e suggestivi della Commedia, fino a rileggerla tutta, senza fermarsi al più popolare Inferno. Ciascuno preceduto da un titolo che è un preludio al suo contenuto, e un richiamo al suo fascino.


Domenica 4 novembre, ore 21
Paolo e Francesca, la bufera dell'amore
(Amor, ch'a nullo amato amar perdona..)
Inferno, V
Lettura: Maria Cinzia Bauci e Pierantonio Gallesi
All'organo: Gian Mauro Banzòla


Paolo e Francesca, la bufera dell'amore. Inferno, V

È il canto di Francesca da Rimini, la «prima donna viva e vera apparsa sull'orizzonte poetico dei tempi moderni», secondo Francesco De Sanctis. Nell'interpretazione dell'attrice Cinzia Bauci questo personaggio apparirà nei suoi aspetti tragici e delicati, mentre la voce di Pierantonio Gallesi ci condurrà nel clima infernale e nell'emozione di Dante. Siamo infatti per la prima volta nell'Inferno vero e proprio, dopo i lunghi indugi nell'antinferno degli ignavi e nel Limbo dei grandi poeti epici e degli «spiriti magni». Protagonista indiscussa del canto, nonostante appaia solo nella seconda parte e pronunci solo poche parole, è Francesca da Polenta, divenuta signora di Rimini in quanto sposa di Gianciotto Malatesta, che tradì col fratello di lui, Paolo. I due furono tragicamente uccisi da Gianciotto stesso, che li sorprese in flagrante. Nel racconto di Dante ci sono pochi dettagli, e molta discrezione: probabilmente i lettori del tempo conoscevano bene quella vicenda di sangue, che doveva essere famosa come oggi il delitto di Cogne. Tant'è vero che i primi commentatori si divisero subito fra "colpevolisti" e "innocentisti" nei confronti di Francesca. Dopo le prime riduttive definizioni di Francesca come «bagascia», una delle prime interpretazioni "innocentiste" è quella che l'illustre interprete Giovanni Boccaccio creò nel suo ciclo di Esposizioni del 1374. Nel commento di Boccaccio si vede una Francesca inedita, di cui si dimostra l'innocenza: fu ingannata dal suo stesso padre, che le fece credere che avrebbe sposato il bel Paolo, e non il suo anziano e storpio fratello Gianciotto. Le parole di Francesca sembrano tratte da una canzone d'amore cortese, e suonano perciò come una condanna di un modo di intendere l'amore senza limiti morali, al di fuori e al di sopra del sacro vincolo del matrimonio, che era stato proprio di intellettuali di cui Dante stesso aveva fatto parte, ma da cui ora vuole ben distinguersi.

Inferno: Canto V (indice)

[Canto quinto, nel quale mostra del secondo cerchio de l'inferno, e tratta de la pena del vizio de la lussuria ne la persona di più famosi gentili uomini.]

Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.

Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.

Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.

«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,

«guarda com' entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?

Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».

Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.

Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.

La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.

E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid' io venir, traendo guai,

ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?».

«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.

Ell' è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.

L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.

Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.

Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.

Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri».

Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».

Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov' è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettüoso grido.

«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand' io intesi quell' anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com' io morisse.

E caddi come corpo morto cade.


Domenica 18 novembre, ore 21
La nostalgia degli affetti
Purgatorio, VIII
Lettura: Gian Marco Marenghi [della compagnia teatrale "Il Mosaico"]
All'organo: maestro Giulio Piovani

La nostalgia degli affetti. Purgatorio, VIII
«Era già l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core / lo dì c 'han detto ai dolci amici addio» è il celebre incipit di questo canto, che inizia con un malinconico tramonto. Nel Purgatorio infatti, dopo il buio dell'Inferno, torna infatti il succedersi di albe e tramonti, torna la luce del sole, «lo bel pianeta che mena dritto altrui per ogne calle». È un segno della ritrovata pace con Dio, in cui Dante potrà percorrere il suo cammino. Già con questo avvio commovente, Dante ci fa entrare nell'atmosfera dell'Antipurgatorio, quel gruppo di canti introduttivi, che arriva fino al IX, in cui lo spaesamento è lo stato d'animo dominante, e condiviso da Dante e dalle anime appena sbarcate sulla spiaggia dell'isola del Purgatorio. Sono i canti in cui l'umanità dei personaggi è totale, disarmata: Dante non è mai stato più partecipe delle sofferenze degli spiriti che incontra. Queste anime non sanno ancora abbandonare i loro ricordi, soprattutto quelli degli affetti più cari, per slanciarsi completamente verso Dio: sono come la Giuditta di Botticelli, che cammina davanti a sé, ma con la testa reclinata all'indietro, verso un passato che non si decide a lasciare. E qui Dante è davvero un «peregrin d'amore»: la sua condizione di viaggiatore lo avvicina affettivamente all'incertezza di queste anime in attesa di espiazione.
Dentro questa serie in cui domina il sentimento della nostalgia, il canto VIII si distingue in quanto particolarmente movimentato, di colori intensi e molti cambiamenti di scena. Contiene anche una sorta di sacra rappresentazione della tentazione del male, il rischio a cui tutti siamo esposti nel mondo: un serpente insidia la purezza della valle verdeggiante in cui riposano i principi, ma viene cacciato da due angeli armati di spade infuocate. Poi a quello degli affetti lasciati sulla terra si intreccia il tema politico, che riporta in luce la vena autobiografica della Commedia: accompagnato dal trovatore guerriero Sordello, Dante incontra due uomini di governo italiani, uno dei quali gli profetizza che avrà modo di essere ospite della sua nobile famiglia. Sarà compito della voce eclettica di Gian Marco Marenghi ridare vita a questi personaggi.

Purgatorio: Canto VIII (indice)

[Canto VIII, dove si tratta de la quinta qualitade, cioè di coloro che, per timore di non perdere onore e signoria e offizi e massimalmente per non ritrarre le mani da l'utilità de la pecunia, si tardaro a confessare di qui a l'ultima ora di loro vita e non facendo penitenza di lor peccati; dove nomina iudice Nino e Currado marchese Malespini.]

Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;

e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more;

quand' io incominciai a render vano
l'udire e a mirare una de l'alme
surta, che l'ascoltar chiedea con mano.

Ella giunse e levò ambo le palme,
ficcando li occhi verso l'orïente,
come dicesse a Dio: 'D'altro non calme'.

'Te lucis ante' sì devotamente
le uscìo di bocca e con sì dolci note,
che fece me a me uscir di mente;

e l'altre poi dolcemente e devote
seguitar lei per tutto l'inno intero,
avendo li occhi a le superne rote.

Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
ché 'l velo è ora ben tanto sottile,
certo che 'l trapassar dentro è leggero.

Io vidi quello essercito gentile
tacito poscia riguardare in sùe,
quasi aspettando, palido e umìle;

e vidi uscir de l'alto e scender giùe
due angeli con due spade affocate,
tronche e private de le punte sue.

Verdi come fogliette pur mo nate
erano in veste, che da verdi penne
percosse traean dietro e ventilate.

L'un poco sovra noi a star si venne,
e l'altro scese in l'opposita sponda,
sì che la gente in mezzo si contenne.

Ben discernëa in lor la testa bionda;
ma ne la faccia l'occhio si smarria,
come virtù ch'a troppo si confonda.

«Ambo vegnon del grembo di Maria»,
disse Sordello, «a guardia de la valle,
per lo serpente che verrà vie via».

Ond' io, che non sapeva per qual calle,
mi volsi intorno, e stretto m'accostai,
tutto gelato, a le fidate spalle.

E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
grazïoso fia lor vedervi assai».

Solo tre passi credo ch'i' scendesse,
e fui di sotto, e vidi un che mirava
pur me, come conoscer mi volesse.

Temp' era già che l'aere s'annerava,
ma non sì che tra li occhi suoi e ' miei
non dichiarisse ciò che pria serrava.

Ver' me si fece, e io ver' lui mi fei:
giudice Nin gentil, quanto mi piacque
quando ti vidi non esser tra ' rei!

Nullo bel salutar tra noi si tacque;
poi dimandò: «Quant' è che tu venisti
a piè del monte per le lontane acque?».

«Oh!», diss' io lui, «per entro i luoghi tristi
venni stamane, e sono in prima vita,
ancor che l'altra, sì andando, acquisti».

E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed elli in dietro si raccolse
come gente di sùbito smarrita.

L'uno a Virgilio e l'altro a un si volse
che sedea lì, gridando: «Sù, Currado!
vieni a veder che Dio per grazia volse».

Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
che tu dei a colui che sì nasconde
lo suo primo perché, che non lì è guado,

quando sarai di là da le larghe onde,
dì a Giovanna mia che per me chiami
là dove a li 'nnocenti si risponde.

Non credo che la sua madre più m'ami,
poscia che trasmutò le bianche bende,
le quai convien che, misera!, ancor brami.

Per lei assai di lieve si comprende
quanto in femmina foco d'amor dura,
se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende.

Non le farà sì bella sepultura
la vipera che Melanesi accampa,
com' avria fatto il gallo di Gallura».

Così dicea, segnato de la stampa,
nel suo aspetto, di quel dritto zelo
che misuratamente in core avvampa.

Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
pur là dove le stelle son più tarde,
sì come rota più presso a lo stelo.

E 'l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
E io a lui: «A quelle tre facelle
di che 'l polo di qua tutto quanto arde».

Ond' elli a me: «Le quattro chiare stelle
che vedevi staman, son di là basse,
e queste son salite ov' eran quelle».

Com' ei parlava, e Sordello a sé il trasse
dicendo: «Vedi là 'l nostro avversaro»;
e drizzò il dito perché 'n là guardasse.

Da quella parte onde non ha riparo
la picciola vallea, era una biscia,
forse qual diede ad Eva il cibo amaro.

Tra l'erba e ' fior venìa la mala striscia,
volgendo ad ora ad or la testa, e 'l dosso
leccando come bestia che si liscia.

Io non vidi, e però dicer non posso,
come mosser li astor celestïali;
ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.

Sentendo fender l'aere a le verdi ali,
fuggì 'l serpente, e li angeli dier volta,
suso a le poste rivolando iguali.

L'ombra che s'era al giudice raccolta
quando chiamò, per tutto quello assalto
punto non fu da me guardare sciolta.

«Se la lucerna che ti mena in alto
truovi nel tuo arbitrio tanta cera
quant' è mestiere infino al sommo smalto»,

cominciò ella, «se novella vera
di Val di Magra o di parte vicina
sai, dillo a me, che già grande là era.

Fui chiamato Currado Malaspina;
non son l'antico, ma di lui discesi;
a' miei portai l'amor che qui raffina».

«Oh!», diss' io lui, «per li vostri paesi
già mai non fui; ma dove si dimora
per tutta Europa ch'ei non sien palesi?

La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
sì che ne sa chi non vi fu ancora;

e io vi giuro, s'io di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
del pregio de la borsa e de la spada.

Uso e natura sì la privilegia,
che, perché il capo reo il mondo torca,
sola va dritta e 'l mal cammin dispregia».

Ed elli: «Or va; che 'l sol non si ricorca
sette volte nel letto che 'l Montone
con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,

che cotesta cortese oppinïone
ti fia chiavata in mezzo de la testa
con maggior chiovi che d'altrui sermone,

se corso di giudicio non s'arresta».

Domenica 25 novembre, ore 21
Il volto umano di Dio
Paradiso, XXXII
Lettura: Anna Bruschi
All'organo: maestro Gianpiero Fornaro

Il volto umano di Dio. Paradiso, XXXII
Il Paradiso è la meta finale del viaggio, ma dovrebbe essere la meta di tutta l'umanità. Nelle intenzioni di Dante, anzi, la lettura stessa dei suoi versi dovrebbe aiutarci a salire fino a questa meta. Per il canto XXXII la sede che ci ospita è perfetta, perché il "volto umano di Dio" a cui allude il mio titolo è proprio quello della Madre di Cristo, Maria. Un canto poco letto, poco studiato a scuola, eppure interessantissimo: Dante ci ha portati sull'orlo della visione di Dio, e interrompe per qualche istante la sua ascesa.

Qui sembra voler accumulare forza prima del balzo finale, ritornare alle sue, alle nostre certezze terrene: ci mostra il cielo nel suo aspetto umano, ci presenta i beati schierati in gloria, «in forma di candida rosa», di cui tornano visibili tutti i lineamenti che avevano i loro corpi umani, dopo tanti incontri in cui ha colloquiato solo con luci sempre più accecanti. È una sorta di dolce pausa di umanità prima dell'incontro con Dio, la somma luce che è la nostra origine e il nostro fine, ma che potrebbe intimidire i lettori, così come emoziona il pellegrino Dante e rischia di accecare i suoi occhi. Invece, con questo accorgimento narrativo l'autore ci prepara per gradi, ci aiuta a vedere l'empireo come la nostra casa, soprattutto mettendo in rilievo la somiglianza fra il Figlio di Dio e la sua mamma umana: solo fissando «la faccia che a Cristo / più si somiglia», Dante potrà predisporsi a vedere Cristo stesso.
Nel canto, il mistico mariano San Bernardo di Chiaravalle assume il ruolo di "Cicerone dell'empireo" e prelude senza soluzione di continuità alla sua celebre preghiera alla Vergine: si interrompe addirittura coi due punti, appena prima delle virgolette con cui si apre il canto successivo, l'ultimo della cantica e dell'intero poema. A leggerlo sarà una soave e potente voce femminile, che già mi ha accompagnata nell'esperienza di "ascolto guidato della Commedia" a Pavia, alla Libreria Paoline, Anna Bruschi. (note di Bianca Garavelli)

Paradiso: Canto XXXII (indice)

[Canto XXXII, ove tratta come santo Bernardo mostrò a Dante ordinatamente li luoghi de' beati del Vecchio e del Nuovo Testamento; e come a la voce de l'Arcangelo Gabriello laudavano nostra Madonna, cioè la Virgine Maria.]

Affetto al suo piacer, quel contemplante
libero officio di dottore assunse,
e cominciò queste parole sante:

«La piaga che Maria richiuse e unse,
quella ch'è tanto bella da' suoi piedi
è colei che l'aperse e che la punse.

Ne l'ordine che fanno i terzi sedi,
siede Rachel di sotto da costei
con Bëatrice, sì come tu vedi.

Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
che fu bisava al cantor che per doglia
del fallo disse 'Miserere mei',

puoi tu veder così di soglia in soglia
giù digradar, com' io ch'a proprio nome
vo per la rosa giù di foglia in foglia.

E dal settimo grado in giù, sì come
infino ad esso, succedono Ebree,
dirimendo del fior tutte le chiome;

perché, secondo lo sguardo che fée
la fede in Cristo, queste sono il muro
a che si parton le sacre scalee.

Da questa parte onde 'l fiore è maturo
di tutte le sue foglie, sono assisi
quei che credettero in Cristo venturo;

da l'altra parte onde sono intercisi
di vòti i semicirculi, si stanno
quei ch'a Cristo venuto ebber li visi.

E come quinci il glorïoso scanno
de la donna del cielo e li altri scanni
di sotto lui cotanta cerna fanno,

così di contra quel del gran Giovanni,
che sempre santo 'l diserto e 'l martiro
sofferse, e poi l'inferno da due anni;

e sotto lui così cerner sortiro
Francesco, Benedetto e Augustino
e altri fin qua giù di giro in giro.

Or mira l'alto proveder divino:
ché l'uno e l'altro aspetto de la fede
igualmente empierà questo giardino.

E sappi che dal grado in giù che fiede
a mezzo il tratto le due discrezioni,
per nullo proprio merito si siede,

ma per l'altrui, con certe condizioni:
ché tutti questi son spiriti asciolti
prima ch'avesser vere elezïoni.

Ben te ne puoi accorger per li volti
e anche per le voci püerili,
se tu li guardi bene e se li ascolti.

Or dubbi tu e dubitando sili;
ma io discioglierò 'l forte legame
in che ti stringon li pensier sottili.

Dentro a l'ampiezza di questo reame
casüal punto non puote aver sito,
se non come tristizia o sete o fame:

ché per etterna legge è stabilito
quantunque vedi, sì che giustamente
ci si risponde da l'anello al dito;

e però questa festinata gente
a vera vita non è sine causa
intra sé qui più e meno eccellente.

Lo rege per cui questo regno pausa
in tanto amore e in tanto diletto,
che nulla volontà è di più ausa,

le menti tutte nel suo lieto aspetto
creando, a suo piacer di grazia dota
diversamente; e qui basti l'effetto.

E ciò espresso e chiaro vi si nota
ne la Scrittura santa in quei gemelli
che ne la madre ebber l'ira commota.

Però, secondo il color d'i capelli,
di cotal grazia l'altissimo lume
degnamente convien che s'incappelli.

Dunque, sanza mercé di lor costume,
locati son per gradi differenti,
sol differendo nel primiero acume.

Bastavasi ne' secoli recenti
con l'innocenza, per aver salute,
solamente la fede d'i parenti;

poi che le prime etadi fuor compiute,
convenne ai maschi a l'innocenti penne
per circuncidere acquistar virtute;

ma poi che 'l tempo de la grazia venne,
sanza battesmo perfetto di Cristo
tale innocenza là giù si ritenne.

Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
più si somiglia, ché la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo».

Io vidi sopra lei tanta allegrezza
piover, portata ne le menti sante
create a trasvolar per quella altezza,

che quantunque io avea visto davante,
di tanta ammirazion non mi sospese,
né mi mostrò di Dio tanto sembiante;

e quello amor che primo lì discese,
cantando 'Ave, Maria, gratïa plena',
dinanzi a lei le sue ali distese.

Rispuose a la divina cantilena
da tutte parti la beata corte,
sì ch'ogne vista sen fé più serena.

«O santo padre, che per me comporte
l'esser qua giù, lasciando il dolce loco
nel qual tu siedi per etterna sorte,

qual è quell' angel che con tanto gioco
guarda ne li occhi la nostra regina,
innamorato sì che par di foco?».

Così ricorsi ancora a la dottrina
di colui ch'abbelliva di Maria,
come del sole stella mattutina.

Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
quant' esser puote in angelo e in alma,
tutta è in lui; e sì volem che sia,

perch' elli è quelli che portò la palma
giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio
carcar si volse de la nostra salma.

Ma vieni omai con li occhi sì com' io
andrò parlando, e nota i gran patrici
di questo imperio giustissimo e pio.

Quei due che seggon là sù più felici
per esser propinquissimi ad Agusta,
son d'esta rosa quasi due radici:

colui che da sinistra le s'aggiusta
è il padre per lo cui ardito gusto
l'umana specie tanto amaro gusta;

dal destro vedi quel padre vetusto
di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
raccomandò di questo fior venusto.

E quei che vide tutti i tempi gravi,
pria che morisse, de la bella sposa
che s'acquistò con la lancia e coi clavi,

siede lungh' esso, e lungo l'altro posa
quel duca sotto cui visse di manna
la gente ingrata, mobile e retrosa.

Di contr' a Pietro vedi sedere Anna,
tanto contenta di mirar sua figlia,
che non move occhio per cantare osanna;

e contro al maggior padre di famiglia
siede Lucia, che mosse la tua donna
quando chinavi, a rovinar, le ciglia.

Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna,
qui farem punto, come buon sartore
che com' elli ha del panno fa la gonna;

e drizzeremo li occhi al primo amore,
sì che, guardando verso lui, penètri
quant' è possibil per lo suo fulgore.

Veramente, ne forse tu t'arretri
movendo l'ali tue, credendo oltrarti,
orando grazia conven che s'impetri

grazia da quella che puote aiutarti;
e tu mi seguirai con l'affezione,
sì che dal dicer mio lo cor non parti».

E cominciò questa santa orazione:

I curricula

Bianca Garavelli, scrittrice.
Affianca all'attività critica e di interprete di Dante una sempre più intensa produzione narrativa. Collabora al quotidiano “Avvenire” e al mensile "Letture". Attualmente collabora come dottoranda di ricerca alla cattedra di Letteratura moderna e contemporanea dell'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano.
Ha pubblicato i romanzi L'amico di Arianna (Guida, 1990), Guerriero del sogno (La Vita Felice, 1997, finalista Premio Montblanc), Il mistero di Gatta Bianca ("Narrativa per la scuola" Laterza, 1999), Beatrice (Moretti & Vitali, 2002), Il passo della dea (Passigli, 2005), Amore a Cape Town (Avagliano, 2006, Premio "Angeli nel cielo del Cilento" 2007). Ha curato il commento alla Commedia di Dante (Bompiani 1993, edizione rinnovata 2000-2001; edizione integrale in volume unico 2006), il manuale di guida alla Divina Commedia. Paradiso (Alpha Test 2004), il volume La Divina Commedia. Canti scelti (Rizzoli "BUR pillole", 2006) e il volume di Ètienne Gilson, Dante e Beatrice. Saggi danteschi (Medusa 2004). Nel 2006 ha tradotto e curato Il dibattito sul "Romanzo della Rosa" di Christine de Pizan, Jean Gerson, Jean de Montreuil (Medusa); nel 2007 ha tradotto e curato un'altra opera di Christine de Pizan, il Libro della pace. Poema di Giovanna d'Arco, e la presentazione del saggio di Ètienne Gilson La scuola delle muse, sempre per Medusa.
Ha coordinato la collana "I Grandi Classici della Poesia" per Fabbri (1997-2000).
Il suo sito ufficiale è www.biancagaravelli.it

Maria Cinzia Bauci, attrice.
Ha studiato violoncello e tecnica vocale presso l’Accademia di Canto Floriana Cavalli di Sesto San Giovanni (MI). Tra i concerti: canti ebraici di sinagoga e canzoni popolari yiddish, canzoni spagnole di Federico Garcia Lorca e Manuel De Falla, O’ King di Luciano Berio per mezzosoprano e piccola orchestra (partitura inedita). Ha fondato nel 1984 “Melodrama”, con il musicista pop Mauro Sabbione (Matia Bazar, Litfiba), elaborando un originale progetto di teatro e di musica in bilico tra colto e popolare. Tra i lavori di teatro musicale, una sua rivisitazione del personaggio di Elettra, scritta a quattro mani con il poeta Giancarlo Majorino e citata dal Dizionario dello spettacolo del ’900 di Baldini e Castoldi. Ha lavorato con Aldo Masella, Angelo Longoni, Alessandro Benvenuti, Massimo Castri, Paolo Pierazzini. Svolge attività didattica come insegnante di tecnica vocale per attori, è doppiatrice in fiction televisive. Collabora con Enti Lirici in qualità di artista del coro.

Pierantonio Gallesi, attore.
Diplomato in pianoforte e violoncello ai Conservatori di Milano e di Alessandria. Polistrumentista, predilige la fisarmonica. Ha studiato danza classica alla scuola di Orietta Boari di Vigevano. Ha frequentato la scuola di teatro CTA di Nicoletta Ramorino a Milano, e seminari con Giorgio Strehler. Si è occupato di teatro dialettale. Ha lavorato con Dario Fo e Franca Rame. Dal 2003 collabora con Mariacinzia Bauci, proponendo un repertorio per voce e fisarmonica che spazia dal mondo ebraico alla musica operistica, con piacevoli intermezzi teatrali alla maniera dei Kletzmorim (cantastorie di origine ebraica dell’Europa Orientale). Lo spettacolo, attualmente formalizzato come La magia del canto, è stato proposto con successo anche in comunità per disabili e per il recupero di alcolisti e tossicodipendenti. Sempre dal 2003, collabora come pianista del coro Gabriella Finzi di Milano, diretto dal M° Delfo Menicucci. Svolge attività di doppiatore. È protagonista del video Cerchium del gruppo ENIGMA. Con il M° Emilio Pietro Franchioli e Mariacinzia Bauci ha inciso nel 2005 un cd di poesia per la Warner Bross.

Gian Marco Marenghi, attore.
Debutta nel teatro nel 1998 nella Compagnia Il Mosaico di Vigevano con la lettura di una novella di G. Guareschi, La cagnola. Esordisce come attore nel 1999 con la commedia Provaci ancora Sam. Da quella data il sodalizio con la Compagnia non si interromperà più. I successivi spettacoli cui prende parte sono: Taxi A Due Piazze, Il Servitore Di Due Padroni, Riflessi D’amore, La Cena Dei Cretini, Domani Meno Un Quarto, Rumori Fuori Scena, Madre Teresa – Il Musical, Aggiungi Un Posto A Tavola.
Da due anni collabora con la Pro Loco di Vigevano per l’allestimento di eventi all’interno della manifestazione Vigevano è, che comprendono visite teatralizzate ai palazzi storici e al Teatro Cagnoni, (in occasione della quale interpreta il ruolo di Antonio Cagnoni) e letture di brani di prosa e poesia in occasione di mostre pittoriche (La donna oggetto, estate 2006) e visite guidate.
RICONOSCIMENTI: 2004 – primo premio come attore protagonista al Festival Nazionale FITA città di Viterbo con La cena dei cretini; 2005 – primo premio come Miglior Attore al festival Nazionale dei Corti Teatrali di Motta Visconti (MI) con Proposta di matrimonio di A. Cechov; 2005 – primo premio come Miglior Attore al Concorso Itinerante FITA Lombardia con Il servitore di due padroni.

Anna Bruschi, giornalista.
Pavese, è giornalista dal 1978. Fino al 1997 ha lavorato a Milano per "Avvenire", dove aveva iniziato l’attività giornalistica nel 1974. Qui è stata redattrice agli Interni e in seguito ha curato continuativamente la posta dei lettori per i direttori Guido Folloni, Lino Rizzi e Dino Boffo. Nello stesso periodo ha collaborato a testate di stampa locali ( tra cui "La Provincia Pavese" e "Il Lunedì") e nazionali di settore su argomenti di costume, scienza, medicina, scuola. Ha inoltre gestito l’ufficio stampa per associazioni varie in occasione di eventi nazionali.
Da quando ha lasciato Avvenire, nel 1997, ha scoperto la lettura ad alta voce iniziando a leggere testi per l’ADOV (Associazione Donatori Voce).Contemporaneamente si è avvicinata alla recitazione inserendosi in un gruppo teatrale locale (“Riprovando”) con cui ha messo in scena diversi spettacoli in spazi e teatri locali tra cui Santa Maria Gualtieri, l’Università e Piazza Vittoria a Pavia .
Ha continuato l’attività di lettura ad alta voce trasformandola in lettura scenica.
Ha letto insieme allo scrittore e giornalista pavese Mino Milani in vari ambiti tra cui diverse edizioni del Festival delle Valli in Oltrepo.
Ha partecipato come lettrice ad eventi della sezione pavese del Fai.
Nel 2004/2005 ha tenuto un incontro settimanale di lettura presso la libreria la Civetta (ora Feltrinelli) di Pavia.
Nella scorsa primavera ha organizzato un ciclo di letture dantesche insieme alla dantista Bianca Garavelli presso la libreria Paoline di Pavia.
In seguito è stata la voce di un ciclo di letture spirituali tenute nella chiesa vescovile di San Giovanni Domnarum a Pavia. Attualmente sta registrando la Divina Commedia per Radio Ticino.

Gian Mauro Banzòla, organista.
Giovane artista eclettico vigevanese, attivo in diverse discipline, si avvicina alla musica classica, specie quella Sacra del periodo romantico, all'età di vent'anni. Totalmente autodidatta, sviluppa uno spiccato interesse anche verso l'arte organaria, occupandosi della manutenzione ordinaria degli strumenti presenti a Vigevano e dintorni dei quali segue spesso da vicino le varie fasi di ripristino e restauro. Collabora con diverse Associazioni Culturali incentivando l'organizzazione di concerti e tenendo lezioni e conferenze. E' organista titolare delle chiese di S. Carlo, S. Bernardo e N. S. del Carmine in S. Margherita, è secondo organista delle Parrocchie di S. Ambrogio in Cattedrale e S. Francesco sempre in Vigevano. E' Direttore dei Cori della chiesa del Carmine e della chiesa di S. Carlo e Docente di Disegno, Arti Visive e Cinema presso la locale sede dell'Università per il Tempo Libero e la Terza Età. E' Consigliere e incaricato per le pubbliche relazioni della Associazione Musicale "Vox Organi" di Vigevano.

Giulio Piovani, organista.
Inizia giovanissimo gli studi musicali, dapprima pianoforte, successivamente organo.
Già laureato in Chimica presso l'Università degli Studi di Pavia con il massimo dei voti, nel 2005 consegue il Diploma in Organo e Composizione Organistica, con il massimo dei voti e la lode, presso il Conservatorio "A. Vivaldi" di Alessandria, nella classe di Giuseppe Gai, ricevendo in seguito il prestigioso premio "Ghislieri" riservato ai migliori diplomati di tale Istituto. Ha frequentato corsi di specializzazione con Marie-Claire Alain, Roberto Antonello e Massimo Nosetti, docente con cui si sta attualmente perfezionando presso il Conservatorio "F. Ghedini" di Cuneo.
Ha collaborato con varie formazioni corali e strumentali, e con l'Orchestra Classica di Alessandria.
Dopo alcune affermazioni giovanili [VI edizione (2002) del "Concorso Internazionale di Interpretazione Organistica" di Cremolino, finalista; I edizione (2004) del Concorso nazionale "S. Guido d'Aquesana", secondo premio nella categoria allievi (primo premio non assegnato); X edizione (2005) del Concorso nazionale "Città di Viterbo", vincitore nella sezione riservata agli allievi del Corso Superiore], consegue il primo premio assoluto alla XII edizione (2007) del Concorso nazionale "Città di Viterbo".

Gianpiero Fornaro, organista.
Diplomatosi in Organo e Composizione Organistica presso il Conservatorio A. Vivaldi di Alessandria sotto la guida del Maestro Sergio Marcianò, ha poi seguito per diversi anni il corso di Composizione Sperimentale presso il Conservatorio G. Verdi di Milano con il Maestro Irlando Danieli. Ha partecipato inoltre a diversi corsi di perfezionamento in Organo, Pianoforte, Composizione, Direzione di Coro sia in Italia che all'estero. Ha collaborato con le riviste della Casa Musicale Edizioni Musicali Carrara di Bergamo e la Casa Editrice Eridania di Mantova con all'attivo diverse pubblicazioni. Svolge attività concertistica sia come solista che in formazioni cameristiche. E' insegnante di Pianoforte presso la Civica Scuola di Musica di Gambolò, è Docente di Canto Corale presso l’Università per il Tempo Libero e la Terza Età in Vigevano e Docente di Educazione Musicale presso la Scuola Media Statale G.Robecchi di Vigevano. Ricopre dal novembre 2004 la carica di Presidente/Coordinatore Artistico dell’Associazione Musicale “Vox Organi” di Vigevano. Collabora come primo organista e consulente musicale con il Coro per le Funzioni Vescovili della Cattedrale. Recentemente ha prestato servizio come organista per il Solenne Pontificale tenuto da S.S. Benedetto XVI in Piazza Ducale in occasione della sua Visita Pastorale a Vigevano.

Associazione culturale Ducale   ASSOCIAZIONE VOX ORGANI VIGEVANO

La Chiesa di S. Maria del Popolo e la sua Confraternita.

L’origine di questa Chiesa, risale al 1511, anno in cui alcuni Confratelli di S. Dionigi si staccarono da detta Confraternita per fondarne una loro, il tutto nacque a causa di un furioso litigio causato da un Confratello che aveva fatto battere il miglio in Chiesa. Nel 1516, i Confratelli dissidenti fondarono un proprio Oratorio detto di “Sancta Maria ad Populos” ed in seguito dedicato alla Purificazione della Vergine. Il nome “ad Populos” sembra non significasse “del Popolo”, ma “dei Pioppi” forse perché accanto all’edificio vi erano alcuni alberi di pioppo. Nel 1595, Francesco II Sforza la elesse ad “Oratorio Ducale” e nel 1599 la Confraternita fu aggregata all’Arciconfraternita del Suffragio in Roma. Presto l’Oratorio risultò essere inadeguato a contenere il gran numero di Fedeli e, nel 1696, venne abbattuto. La terza Domenica dell’Agosto del 1698, fu benedetta la prima pietra della nuova Chiesa ed il progetto venne affidato all’architetto romano Giovanni Ruggeri, all’epoca attivo a Milano, che la completò, così come la vediamo oggi, nel 1729. Durante il dominio napoleonico la chiesa fu chiusa; riaperta a fine ottocento come Chiesa succursale del Duomo e destinata ad Oratorio per la formazione dei Chierichetti, continuò ad essere amministrata dalla Confraternita fino ai primi decenni del novecento, quando fu soppressa per mancanza di membri. Per la rinascita di quest’ultima bisogna arrivare a tempi recenti e di preciso al 1987 quando è stata ricostituita con Decreto Vescovile dall’allora Vescovo di Vigevano Mons. Mario Rossi. L’attuale divisa dei Confratelli è costituita da una cappa celeste con cingolo bianco e celeste e mozzetta bianca per il Priore.


L’organo di S. Maria del Popolo.

Non sappiamo se la chiesa fu dotata di un organo già a partire dalla sua erezione, dato che non vi sono documenti d’archivio che lo attestino. Lo strumento attuale, posto sulla bussola della porta d’ingresso all’interno di una bella cassa baroccheggiante, fu invece posto in opera nel 1843 dalla famosa bottega artigiana F.lli Lingiardi di Pavia per volere di Antonio Cagnoni, all’epoca Maestro di Cappella del Duomo. Costruito con materiali di pregevole qualità, l’organo di S. Maria del Popolo si è conservato incredibilmente perfettamente integro e funzionante sino ai giorni nostri senza essere mai stato sottoposto a veri e propri interventi di restauro e conservando così l’intonazione originaria, particolarmente chiara ed argentina, voluta dai Lingiardi. Dotato di un’unica tastiera ad “ottava corta”, pedaliera a leggio, 22 registri e circa 900 canne, regolarmente mantenuto, (l’ultima manutenzione “importante” risale al 2006 per iniziativa di un privato) è utilizzato spesso per concerti ed è da considerarsi tra i più pregevoli strumenti presenti a Vigevano ed in Lomellina.
 

Un incontro dantesco complementare, organizzato dall'Ufficio Cultura di Abbiategrasso, nell'ambito della rassegna "Vivere la nebbia".

"RAGGIUNGERE BEATRICE.Un viaggio d'amore nella Commedia di Dante"
Giovedì 15 novembre 2007, ore 21
Abbiategrasso, Chiesa di San Bernardino

Scelta di versi della Commedia commentati e letti da Bianca Garavelli, nella prospettiva di un'interpretazione provocatoria ma fondata: che il poema sacro sia una "promessa d'amore mantenuta" nei confronti di Beatrice, che fin dal tempo della Vita Nuova è la vera energia ispiratrice della scrittura poetica e teologica di Dante. I brani saranno tratti da Inferno II, X; Purgatorio XXVII, XXX, e numerosi passi del Paradiso. A dimostrazione che anche nelle due cantiche in cui non è la guida attiva di Dante, Beatrice è "l'assente più presente" fra i personaggi danteschi.


Antico Caffè Ducale   corso Vittorio Emanuele, Vigevano fine della pagina