Le stagioni a Vigevano 
 
 
      
Opere liriche al Castello Sforzesco di Vigevano 
 luglio 2001 foto, presentazione 
e commenti sulla manifestazione  
    
      
W  VERDI un solo grande amore!! La vita e i 
libretti di tutte le sue opere.   
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          Teatro Cagnoni di 
Vigevano 
  
 
Ricordo di Antonio
Cagnoni 
 nel centenario della morte 11 dicembre 1996 Vigevano 
 
   Antonio Cagnoni 
  8 febbraio 1828 Godiasco (Pavia) 
  - 30 aprile 1896 Bergamo 
  maestro di cappella a Vigevano (1856) e a Bergamo (1888)
  Cagnoni fu a Vigevano sino al 1879 quando 
  passò a Novara come successore di Carlo Coccia quale organista a San Gaudenzio 
  e poi nel 1888 passò a Bergamo in Santa Maria Maggiore come sostituto di A. 
  Ponchielli dove vi morì nel 1896. 
    La vena espressiva di Cagnoni si 
    realizzò compiutamente nel genere buffo che, attorno alla metà 
    dell’Ottocento, conobbe una rinnovata fortuna. A lui è dedicato il l Civico 
    Teatro Antonio Cagnoni di Vigevano di Vigevano (Pavia) dove 
    nell'ottobre 1875 vennero allestite due opere del cittadino vigevanese 
    d'adozione Antonio Cagnoni, il Papà Martin e il Don Bucefalo.  
    Di fronte ad un pubblico, purtroppo ridotto, si è tenuto a Vigevano un convegno
    dedicato ad Antonio Cagnoni, a lui dedicato dalla città che lo ospitò per ben 21 anni,
    come maestro di cappella della cattedrale. Nel centenario della morte ci si è ricordati
    di un autore che fu cosi stimato dai contemporanei tanto da entrare nella lista dei
    prescelti per la composizione di quel requiem a più mani che doveva essere scritto per la
    morte di Rossini. Autore di diciassette opere liriche di cui nove nel genere buffo,
    quattro in quello semiserio e quattro nel genere serio, ebbe come librettisti Romani(1),
    C.Bassi(3), Ghislanzoni(4), M.Marcello(2), Piave(1), Tarantini(1), Giacchetti(3), Guidi(2)
    e i suoi lavori furono rappresentati a Milano (8), Genova(4), Torino(3), Roma (1),
    Lecco(1).  
    Nato a Godiasco il 8 febbraio 1828, fu maestro di cappella in cattedrale a Vigevano dal
    1852 al 1873, a Novara dal 1873 al 1877, e a Santa Maria Maggiore a Bergamo sino alla
    morte avvenuta il 30 aprile 1896; a lui venne dedicato il massimo teatro di Vigevano. 
    "Godette di una certa popolarità come operista" cosi viene liquidato da alcune
    enciclopedie, e le sue opere citate sono Don Bucefalo(1847), Michele Perrin(1864), Papa
    Martin (1871), Francesca da Rimini(1878) 
    Nel convegno vigevanese, i primi relatori hanno illustrato più il panorama musicale nel
    quale visse che non piuttosto la sua figura; Sergio Martinotti ha aperto i lavori del
    convegno delineando la storia de "Il comico nel teatro musicale dell'800"
    partendo dal '700 con l'adagiarsi a schemi che diventavano sempre più obsoleti, fino al
    re dell'opera napoletana, Paisiello, ed al nuovo astro rossiniano se pur fischiato alla
    prima romana del Barbiere.  
    Un filone comico che passa attraverso il capolavori donizettiani del Don Pasquale e
    Elisir; sin quando l'Italia si divide guardando da una parte al grande motore della
    drammaturgia verdiana e dall'altro guardando oltralpe, con la scapigliatura, nella quale
    domina forse più la cornice del contenuto. Quando il grand operà irrompe con lo sguardo
    rivolto all'esotismo, Cagnoni da attento musicista, consapevole dei propri mezzi, si
    dedica con onestà al recupero della comicità nel teatro d'opera. 
    Danilo Prefumo ha voluto sottolineare il valore della musica strumentale dell'800
    italiano, dovuta in primo luogo a grandi strumentisti come Paganini, Rolla, Giuliani, che
    portano avanti la tradizione nazionale di strumentisti e compositori quali Vivaldi,
    Sammartini e Tartini, ma senza potere contrastare il predominio dell'opera lirica,
    predominio indiscusso nel paese del bel canto, quasi che la mancanza di strumentisti fosse
    compensata dalla sovrabbondanza dei librettisti al contrario di quanto succedeva nello
    stesso periodo in Germania. 
    Alberto Cantù con la sua relazione "Il concertista va in scena" ha invece
    sottolineato come molte volte il valore dell'opera fosse legato all'interprete e non tanto
    al lavoro in se stesso, e come ai giorni nostri quando si tenta di recuperare un opera
    dimenticata sarebbe opportuno verificare la validità degli interpreti scelti per non
    sotterrare definitivamente il lavoro con un recupero mal fatto.  
    Terminati gli interventi che definirei di "assoluto contorno" nonostante il
    "nome" dei relatori, siamo entrati nel merito della figura di A.Cagnoni con la
    dott.ssa Maria Teresa Della Borra, che ha dimostrato di avere effettuato uno studio molto
    approfondito della produzione musicale di Cagnoni, partendo da quei primi lavori di saggio
    che gli venivano richiesti al Conservatorio come la "Rosalia di san Miniato"
    (1847) o quel Don Bucefalo(1847) che fu il saggio di chiusura dei suoi studi, e che fu
    coronato da "grandissimo successo" riconfermato in una successiva esecuzione a
    Marsiglia, tanto che il Cagnoni fu subito notato dal Ricordi che se lo assicurò.  
    Quando affronta l'opera seria con la "Claudia"(1866) la critica la definisce
    "grandiosa" e segnala "la fluidità della melodia che del moderno
    si abbella del meglio", anche il Ghislanzoni la criticò molto favorevolmente.
    Con "Papa Martin" inizia una fase ancora comica ma affrontata in modo diverso,
    si sente l'influsso della scapigliatura, l'ambientazione povera, il lavoro, il risparmio,
    i valori sociali, il comico (l'usuraio) unito al patetico( papà Martin) ne fa' un lavoro
    di successo, a Genova fu replicata sino al 1900. 
    La sua "Francesca da Rimini", che fu rappresentata accanto a "Le Roj de
    Lahore", ricevette critiche contrastanti, forse anche dovute agli interventi del
    Ghislanzoni con l'inserimento di balli e parate; alcuni la giudicarono "essere
    senza senso", altri segnalarono "l'intensa partecipazione, la fluidità
    melodica" la "miglior resa del IV atto dove l'autore da il massimo",
    e come l'autore fosse "melodista chiaro e fluido, decorato da spunti armonici",
    in ogni caso fu ancora rappresentata per ben 20 anni. 
    Il suo disagio per il gusto imperante, è stato ben delineato dalla relazione del
    vigevanese Carlo Ramella, che ha esaminato la numerosa produzione liturgica giacente
    presso gli archivi vigevanesi, a Novara e Bergamo, in un periodo dove il riferimento ad
    arie solistiche e a manomissioni del testo sacro per costruire affascinanti cattedrali
    sonore, sollecitava l'attenzione della Chiesa che richiamava ad una maggiore aderenza
    della musica sacra al proprio compito liturgico, il Cagnoni dimostrava "senso
    giusto ed equilibrato nell'intendere il classico romano ideale della musica sacra"
    a cui dovevano conformarsi gli autori. Non ha caso esistono "richiami" del
    Capitolo per quegli organisti che fanno sentire troppo "l'opera" nelle loro
    esecuzioni. 
    In ogni caso se Antonio Cagnoni non ebbe particolari interessi di ricerca per il nuovo, ha
    approfondito le "vie note" curando i dettagli, approfondendo la chiarezza
    del discorso musicale cercando di svincolarsi dal convenzionalismo, ed approfondendo il
    linguaggio armonico. 
    Mario Mainino 
 OPERE 
Ha scritto musica per orchestra da camera e vocale, musiche sacre (fra cui una 
Messa da Requiem). Nacque nel 1828, lo stesso anno dei compositori Barthe, 
Cossoul, Gevaert, Jouret, Luzzi, Platania, Poise, Rossi, Schubert, Siboni. 
"Rosalia di S Miniato" venne rappresentata il 28 febbraio 1845 a Milano 
(Conservatorio) 
"I due savoiardi" venne rappresentata il 15 giugno 1846 a Milano (Conservatorio) 
"Don Bucefalo", Melodramma giocoso in 3 Atti, venne rappresentata il 28 giugno 
1847 a Milano (Conservatorio) 
  
Don Bucefalo -Personaggi 
Don Bucefalo, maestro di musica spiantato (Basso); Carlino, giovane militare 
(Tenore); Rosa, sua presunta vedova (Soprano); Agata (Mezzosoprano) e Giannetta 
(Soprano), contadine; Don Marco, benestante podagroso e spasimante di Rosa 
(Basso); il conte di Belprato, amante di Rosa (Tenore); contadini e contadine 
   
  
  
    
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       Martedì 22 Luglio 2008 Palazzo Ducale Martina Franca 
      DON BUCEFALO 
      melodramma giocoso in tre atti su libretto di Calisto Bassi 
      musica di Antonio Cagnoni 
      Prima esecuzione assoluta in tempi moderni 
      Edizione critica a cura di Anders Wiklund  
      Editore Casa Ricordi, Milano  
       
      Il Conte di Belprato: Aldo Caputo 
      Don Bucefalo: Filippo Morace 
      Gianetta: Francesca De Giorgi 
      Carlino: Massimiliano Silvestri 
      Don Marco: Graziano De Pace 
      Rosa: Angelica Girardi 
      Agata: Date Mizuki 
      Coro Slovacco di Bratislava 
      Orchestra Internazionale d’Italia 
      direttore: Massimiliano Caldi 
      regia: Marco Gandini 
      scene: Italo Grassi 
      costumi: Silvia Aymonino 
       
      Edizione discografica 
      
        
      
      
      Etichetta Dynamic Prezzo € 29,90 
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       Don Bucefalo di Antonio Cagnoni, prima esecuzione in 
      tempi moderni, è la seconda opera in scena al Festival della Valle 
      d’Itria, domani 20 luglio, inizio ore 21.00.  
      Intorno alla metà dell’ottocento il genere buffo conobbe una particolare 
      fortuna ed in questo periodo, fra una moltitudine di operisti minori 
      italiani, Antonio Cagnoni (Godiasco, Pavia 1828 – Bergamo 1896) raggiunse 
      in età giovanile una grande notorietà, toccando l’apice della sua vena 
      espressiva grazie a uno spartito proprio di genere giocoso, il Don 
      Bucefalo.  
       
      Parafrasata dalle Cantatrici villane di Valentino Fioravanti, l’opera si 
      caratterizzò nel ricco filone dei soggetti legati alla satira sul teatro 
      in musica. La goffa figura del protagonista, un maestro di cappella 
      borioso e spietato, divenne un cavallo di battaglia del celebre basso 
      buffo Alessandro Bottero, che nel 1865 fece approdare l’opera a Parigi, 
      andata in scena per la prima volta al Conservatorio di Milano il 28 giugno 
      1847. Ma Cagnoni, sfruttando con oculatezza le formule del genere buffo, 
      seppe mettere alla prova bassi ciarlieri, tenori e soprani lirici, 
      ricorrendo anche a dialoghi in dialetto napoletano e a una scrittura 
      strumentale sorprendentemente densa.  
      Tra le pagine più riuscite dell’opera (che fu ripresa con successo a 
      Milano al Teatro Re nel 1847, alla Scala nel ’48 e al Carcano nel ’49, 
      fino a un’esecuzione americana nel 1867 di cui dà notizia il New York 
      Times dell’epoca) spiccano il quartetto "Io dirò se nel gestire", l’aria 
      "Ah! figliuol; date mente" (Don Bucefalo), il concertato "Chi mi ha tolto, 
      poveretta" (finale del secondo atto) e la gustosissima scena della prova 
      d’orchestra "Trai, trai, trai, larà larà" (Don Bucefalo).  
       
      Don Bucefalo ode cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito; 
      offre loro lezioni di canto, lusingandole con promesse di gloria. 
      Giannetta, Agata e Rosa abboccano; quest’ultima si consola della presunta 
      vedovanza da Carlino, con il conte di Belprato e con il vecchio Don Marco. 
      Ma Carlino torna inaspettatamente e apprende degli intrighi amorosi. La 
      vicenda si snoda quindi tra i battibecchi delle contadine, che si 
      contendono il ruolo di ‘prima donna’, le peripezie dei loro amanti e le 
      velleità artistiche di Bucefalo; il culmine giunge nel terzo atto, 
      allorché il maestro di musica allestisce la sua nuova opera. Rosa ne è la 
      ‘prima donna’ ma, proprio al momento della sua entrata in scena, ecco 
      comparire Carlino che reclama la moglie, creando lo scompiglio generale. 
      Don Bucefalo si dispera per il fallimento della prova; Agata e Giannetta, 
      invidiose di Rosa, esultano per la sua imminente punizione; il conte 
      trema. Naturalmente tutto finisce per il meglio e Rosa si pente, giurando 
      fedeltà al marito ritrovato. L’opera sarà trasmessa in diretta su radio 3 
      Suite. L’edizione rappresentata sarà pubblicata su CD.  | 
     
    
      | 
       Martina Franca, Palazzo Ducale, Info. 080.4805 100  
      
      http://www.festivaldellavalleditria.it   | 
     
    
      | La recensione di Mirko Bertolini Martina Franca (TA), 
      palazzo ducale Don 
      Bucefalo di Antonio Cagnoni 
      "Negli anni cinquanta" 
      tratto da:
      
      http://www.teatro.org/spettacoli/nuovo/don_bucefalo_1110_11211 
      Il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, 
      giunto alla sua 34esima edizione, ha il grande pregio di presentare ogni 
      anno al pubblico titoli in prima esecuzione nei tempi moderni, riscoprendo 
      non solo titoli passati nel dimenticatoio ma anche autori che, già noti 
      nei loro tempi, ora non ricorda quasi nessuno. Quest’anno, accanto al Re 
      pastore, musicato da Niccolò Piccinni su libretto del Metastasio e al 
      Pelagio di Saverio Mercadante, è stata rappresentata il Don Bucefalo, 
      opera giovanile del compositore lombardo Antonio Cagnoni (1828 – 1896). 
      Il Cagnoni, compositore che nella folta schiera degli operisti 
      minori dell’Ottocento italiano, spesso ingiustamente dimenticati, 
      occupa un posto di rilevo, scrisse numerose opere che incontrarono il 
      favore del pubblico, soprattutto nei teatri di Torino e Milano. Solo 
      una ebbe, però un notevole successo, Don Bucefalo, composta nel 1847 ad 
      appena 19 anni come saggio finale dei suoi studi al Conservatorio di 
      Milano.  
      Il lavoro, che doveva essere solo il saggio di fine anno scolastico, fece 
      improvvisamente catapultare il Cagnoni al centro di un successo europeo 
      destinato a durare per decenni.  
      La vena espressiva di Cagnoni si realizzò compiutamente nel genere 
      buffo che, attorno alla metà dell’Ottocento, conobbe una rinnovata 
      fortuna; a questo particolare momento appartiene Don Bucefalo.  
      Don Bucefalo è un maestro di cappella borioso, che 
      giunge a portare scompiglio in una comunità di contadini, realizzando gags 
      molto divertenti che, oltre ad innegabili doti canore, richiedono anche 
      una notevole capacità interpretativa sul piano recitativo. Il maestro ode 
      cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito; offre loro 
      lezioni di canto, lusingandole con promesse di gloria. Giannetta, Agata e 
      Rosa abboccano; quest’ultima si consola della presunta vedovanza con il 
      conte di Belprato e con il vecchio Don Marco. Carlino, il marito, torna 
      inaspettatamente e apprende di quegli intrighi amorosi. La vicenda si 
      snoda tra i battibecchi delle contadine, che si contendono il ruolo di 
      prima donna, le peripezie dei loro amanti e le velleità artistiche di 
      Bucefalo; il culmine giunge nel terzo atto, allorché il maestro di musica 
      allestisce la sua nuova opera. Rosa ne è la prima donna ma, proprio al 
      momento della sua entrata in scena, ecco comparire Carlino che reclama la 
      moglie, creando lo scompiglio generale. Don Bucefalo si dispera per il 
      fallimento della prova; Agata e Giannetta, invidiose di Rosa, esultano per 
      la sua imminente punizione; il conte trema. Naturalmente tutto finisce per 
      il meglio e Rosa si pente, giurando fedeltà al marito ritrovato.  
      La trama segue il modello del teatro nel teatro 
      che riporta a una diffusa tradizione volta a rappresentare il mondo del 
      teatro lirico dell’epoca, di cui mostra le dinamiche creative e produttive 
      in una situazione di burla. Ne viene fuori un’opera che è ricolma di 
      trovate musicali e drammaturgiche. Sebbene attinga alla tradizione più 
      consolidata dell’opera buffa italiana (bassi ciarlieri, tenori e soprani 
      lirici, cavatine in due movimenti senza il tempo di mezzo, ricorso al 
      recitativo secco e ai dialoghi in dialetto napoletano), facendone propri 
      gli schemi, dai ruoli vocali fino alla scrittura dei recitativi, riesce a 
      rielaborarla alla luce dell’evoluzione del linguaggio musicale di quegli 
      anni e di una fantasia quanto mai fervida.  
      Molteplici dunque gli echi della tradizione (da 
      Paisiello a Cimarosa, a Rossini, a Donizetti, al giovane Verdi) di cui il 
      giovanissimo compositore dimostra una sorprendente padronanza: molti, 
      ascoltando Don Bucefalo avranno ricordato l’Elisir d’amore oppure Il 
      signor Bruschino.  
      Colpisce la capacità di strumentazione, una 
      scrittura vocale dagli esiti virtuosistici e brillanti, una felice 
      capacità di amalgamare voci e orchestra, una vena melodica accattivante e 
      un serrato andamento ritmico che non lascia spazio alla noia.  
      Alcuni dei momenti più esilaranti dello 
      spettacolo sono la lezione di canto che occupa gran parte del primo 
      atto o, nel secondo, la fase in cui Don Bucefalo concepisce la 
      partitura per la nuova opera di tema storico antico romano, tentando 
      di costruire la frase musicale sulla musicalità e sul ritmo del testo per 
      poi passare alla concertazione strumentale dell’orchestra.  
      Un momento che fornisce all’interprete di Don Bucefalo 
      l’occasione di mettere in campo tutte le sue doti di attore, essenziali 
      per rendere al meglio tutta la scena.  
      Il regista Marco Gandini ha riletto l’opera 
      ambientandola, tra l’altro senza scadere nel banale o nell’incongruo, 
      nella campagna romana degli anni cinquanta del secolo passato, anni in 
      cui nasceva il desiderio di fare successo nel mondo dello spettacolo; ne è 
      risultata una regia dinamica e scorrevole, che ha dato giusto 
      rilievo alla comicità dell’opera buffa.  
      Semplici le scene di Italo Grassi, consistenti 
      in un lungo muro esterno, sulla strada Roma – Frascati, che diventa 
      volta a volta stanza da letto, sala prove, palcoscenico del teatro nel 
      teatro.  
      Belli e intonati alle scene i costumi di Silvia 
      Aymonino.  
      La partitura è stata resa con il giusto equilibrio 
      dall’Orchestra Internazionale d’Italia, diretta egregiamente dal 
      Massimiliano Caldi.  
      Omogeneo e ben affiatato il cast che ha visto 
      primeggiare il basso-baritono Filippo Morace nel ruolo di Don 
      Bucefalo, che è riuscito senza cedimenti a catturare l’attenzione e 
      l'entusiasmo del pubblico, anche per la grande presenza scenica come 
      buffo. Bravi anche gli altri interpreti: il soprano Angelica Girardi nel 
      ruolo di Rosa, il Conte di Belprato del tenore Francesco Marsiglia, il 
      mezzosoprano leccese Francesca De Giorgi in Giannetta e il baritono 
      Graziano De Pace in Don Marco.  
      Disomogenea nel colore e nella consistenza la voce del 
      soprano Mizuki Date nel ruolo di Agata, che inoltre non ha curato a 
      sufficienza la parte espressiva, così pure poco omogenea ed eccessivamente 
      debole nel confronto con la massa sonora dell’orchestra, la voce del 
      tenore Massimiliano Silvestri nelle vesti di Carlino.  
      Buona la prova del Coro Slovacco di Bratislava 
      guidato da Pavol Prochazka. Tutto esaurito per le due rappresentazioni e 
      successo decretato da un pubblico sempre più internazionale ma 
      chiacchierone, in una serata fredda e notevolmente ventosa.  
      Visto a Martina Franca (TA), palazzo ducale, il 22 
      luglio 2008 Mirko Bertolini  | 
     
    
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       Don Bucefalo 
      di Piero Gelli (11:49 - 31 lug 2008) 
      tratto da :
      
      http://delteatro.it/articoli/2008-07/il-re-pastore-e-don-bucefalo.php 
      È sempre un piacere venire a Martina Franca per il Festival della valle 
      d'Itria, non solo perché la cittadina è bellissima e la gentilezza di chi 
      ci ospita squisita, ma perché si mettono in scena opere rare, spesso in 
      prima esecuzione assoluta in tempi moderni, come quest'anno: Il re pastore 
      di Niccolò Piccinni (Bari 1728 - Passy 1800), Don Bucefalo di Antonio 
      Cagnoni (Pavia 1828 - Bergamo 1896) e Pelagio di Saverio Mercadante (Altamura 
      1795 - Napoli 1870). Ho visto le prime due. [ ...]  
      Il pubblico fedele, forse un po' tediato dai tono melanconici della 
      musica di Piccinni e dalla lunghezza dell'opera, è stato ampiamente 
      ricompensato dall'opera seconda in programma, di sfrenato godimento e 
      divertimento. Si tratta del Don Bucefalo di Antonio Cagnoni.  
      Cagnoni oggi sconosciuto, nel suo secolo, l'Ottocento, era famoso e 
      apprezzato; tra l'altro anche da Giuseppe Verdi. Questo melodramma 
      giocoso, lui lo scrisse a diciannove anni, come saggio del suo cursus 
      studiorum al Conservatorio di Milano nel 1847. Il successo fu clamoroso; e 
      crebbe ancora e durò per tutta la vita del compositore e soprattutto del 
      grande basso che nel ruolo di Don Bucefalo si specializzò in trovate e 
      improvvisate, Alessandro Bottero.  
      Curiosamente, con la morte di entrambi, l'opera venne dimenticata, e 
      ingiustamente, perché è piena di verve, di ritmo e di finezze espressive.
       
      Certamente l'opera buffa rientra nel genere ben calibrato delle parodie 
      metateatrali (la derivazione da Le cantatrici villane di Fioravanti 
      è palese; e si ricordi Le convenienze e inconvenienze teatrali 
      donizzettiane) e gli echi di Donizetti e dei concertati rossiniani 
      risuonano negli orecchi, ma nulla tolgono al piacere dell'ascolto, 
      anzi lo accrescono nella conferma di un talento artigiano di grande 
      livello.  
      Si pensa, vedendo lo spettacolo, che cosa non sarebbe stato se l'avesse 
      cantato un Sesto Bruscantini.  
      Perché tutto il gioco è nelle mani dell'arruffone maestro di cappella Don 
      Bucefalo, qui interprato con successo da Filippo Morace; assecondato con 
      grazia dal soprano Angelica Girardi.  
      La regia di Marco Gandini, bravissimo, ha con intelligenza e arguzia 
      ambientato la vicenda nella Cinecittà degli anni Cinquanta: e a un 
      certo momento il muro che taglia la scena per lungo si riempie di 
      manifesti di celebri film peplo dell'epoca, da Fabiola a Quo Vadis.  
      Quanto alla partitura, non poteva trovare un migliore interprete del 
      maestro Massimiliano Caldi, che l'ha diretta con tale spigliatezza, 
      sottigliezza, brio e precisione, che mi chiedo per quale motivo egli, 
      milanese di nascita e (credo) di residenza, non sia mai stato invitato 
      alla Scala: Nemo propheta in Patria.  | 
     
    
      | Rassegna stampa | 
     
    
       
      Massimiliano Caldi ha diretto una prima esecuzione assoluta in 
      tempi moderni del Don Bucefalo di Antonio Cagnoni al Festival della Valle 
      d'Itria di Martina Franca. 
      Travolgente opera buffa di metà Ottocento, Don Bucefalo si inserisce 
      nel ricco filone dei soggetti legati alla satira sul teatro in musica. 
      Composto da un giovanissimo Antonio Cagnoni, aveva solo 19 anni, come 
      saggio del suo cursus studiorum al Conservatorio di Milano nel 1847, il 
      successo di quest'opera fu clamoroso e crebbe e durò per tutta la vita del 
      compositore e del grande basso Alessandro Bottero che nel ruolo di Don 
      Bucefalo si specializzò in trovate e improvvisate. 
       
      Don Bucefalo ode cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito; 
      offre loro lezioni di canto, lusingandole con promesse di gloria. 
      Giannetta, Agata e Rosa abboccano; quest'ultima si consola della presunta 
      vedovanza da Carlino, con il conte di Belprato e con il vecchio Don Marco. 
      Ma Carlino torna inaspettatamente e apprende degli intrighi amorosi. La 
      vicenda si snoda quindi tra i battibecchi delle contadine, che si 
      contendono il ruolo di prima donna, le peripezie dei loro amanti e le 
      velleità artistiche di Bucefalo; il culmine giunge nel terzo atto, 
      allorché il maestro di musica allestisce la sua nuova opera. Rosa ne è la 
      prima donna ma, proprio al momento della sua entrata in scena, ecco 
      comparire Carlino che reclama la moglie, creando lo scompiglio generale. 
      Don Bucefalo si dispera per il fallimento della prova; Agata e Giannetta, 
      invidiose di Rosa, esultano per la sua imminente punizione; il conte 
      trema. Naturalmente tutto finisce per il meglio e Rosa si pente, giurando 
      fedeltà al marito ritrovato. 
       
      Regia di Marco Gandini, che con intelligenza e arguzia ha ambientato la 
      vicenda nella Cinecittà degli anni Cinquanta. Scene di Italo Grassi, 
      costumi di Silvia Aymonino. 
       
      Interpreti Angelica Girardi (Rosa), Massimiliano Silvestri (Carlino), 
      Filippo Morace (Don Bucefalo), Date Mizuki (Agata), Francesca De Giorgi (Gianetta), 
      Graziano De Pace (Don Marco), Francesco Marsiglia (Il Conte di Belprato). 
      Coro Slovacco di Bratislava, Orchestra Internazionale d'Italia. 
       
      Dalla stampa: 
      «Prodotto di pregevole fattura musicale - nella sua moderna concezione di 
      teatro nel teatro - il Don Bucefalo di Martina Franca si é avvantaggiato 
      della limpida direzione d'orchestra di Massimiliano Caldi e 
      dell'esilarante impianto visivo di Marco Gandini.» 
      (Classic Voice - settembre 2008 - Francesco Arturo Saponaro) 
       
      «Alla direzione vibrante e incisiva di Massimiliano Caldi si uniscono le 
      virtù di spigliatezza e simpatia di un gruppo di giovani e validi 
      interpreti in uno spettacolo divertente e arguto, accolto da meritate 
      ovazioni.» 
      (Amadeus - ottobre 2008 - Gildo Salerno) 
       
      «In buca, Massimiliano Caldi coglie la palla al balzo: conduce l'operina 
      con raffinato gusto. I tempi sempre giusti corrono ora veloci ed ora si 
      allargano in delicate oasi liriche, con un'attenzione ben calcolata alle 
      sfumature, ma anche alle naivité di un lavoro che del saggio finale 
      conserva la freschezza. 
      Caldi accompagna con intelligenza i cantanti. Pur prestandosi alla 
      commedia, non permette che lo stile comico si incrosti di caccole che, 
      care forse al gusto ottocentesco, quando il Don Bucefalo era il cavallo di 
      battaglia di noti buffi, oggi non sarebbero sopportabili.» 
      (L'Opera - settembre 2008 - Giancarlo Landini) 
       
      «E il prodigio consiste nella riscoperta del gioco assoluto rossiniano di 
      là del binario morto di una ormai impossibile mera imitazione. A 
      cominciare dalla squisita scrittura orchestrale, vero omaggio postumo ai 
      procedimenti formali dei grandi del passato, intesi non come calchi ma 
      come ideali ripensamenti. Ciò che benissimo ha compreso il direttore 
      Massimiliano Caldi, un tipo da tener d'occhio: eleganza di fraseggio, 
      finissima calibratura sonora di timbrica, vigile partecipazione a quella 
      che sembra la qualità specifica di quella musica, la classica concisione 
      di dettato.» 
      (sipario.it - 28 luglio 2008 - Giovanni Carlo Ballola) 
      (Il Mattino - 28 luglio 2008 - Giovanni Carlo Ballola) 
      (Espresso - 13 agosto 2008 - Giovanni Carlo Ballola) 
       
      «A dirigere con precisione l'Orchestra Internazionale d'Italia 
      Massimiliano Caldi.» 
      (Taranto Sera - 21 luglio 2008 - Daniele Lo Cascio) 
       
      «(...) Don Bucefalo era incalzato dall'esuberante spettacolo di Marco 
      Gandini ambientato nella Roma anni '50, nel clima del film in costume (la 
      smaliziata scena é di Italo Grassi) e dalla direzione di Massimiliano 
      Caldi, che ha spronato con garbo la giocosa compagnia di canto, tra cui 
      spiccavano Filippo Morace e Angelica Girardi» 
      (La Repubblica - 21 luglio 2008 - Angelo Foletto) 
       
      «Esemplare poi l'accordo realizzato fra il direttore Massimiliano Caldi ed 
      il regista Marco Gandini. Alla direzione fervida e dinamica di Caldi - 
      capace fra l'altro di valorizzare in pieno la rimarchevole eleganza e 
      raffinatezza della partitura, offrendo alle voci l'equilibrato supporto - 
      ha fatto riscontro l'azione teatrale ...» 
      (La Gazzetta del Mezzogiorno - 22 luglio 2008 - Nicola Sbisà) 
       
      «Sempre sotto la direzione del brioso Massimiliano Caldi, a lungo 
      applaudito dal pubblico con gli altri protagonisti» 
      (Corriere del Mezzogiorno - 22 luglio 2008 - Francesco Mazzotta) 
       
      «L'Orchestra Internazionale d'Italia, dopo "Re Pastore", l'opera seria dei 
      giorni scorsi, é passata con grande professionalità all'opera buffa di 
      Cagnoni, diretta con slancio ed eleganza dall'eccelente Massimiliano Caldi 
      che ha conferito i giusti, agili ritmi e il necessario smalto a un’opera 
      piacevolissima in ogni battuta. Perfetto l'aggancio orchestra e 
      palcoscenico e armoniosa la fusione tra suoni e voci.» 
      (Corriere del Giorno - Taranto - 22 luglio 2008 - José Minervini) 
       
      «Ottima la direzione di Massimiliano Caldi sul podio dell'Orchestra 
      Internazionale d'Italia (...)» 
      (Nuovo Quotidiano di Puglia - 22 luglio 2008 - Eraldo Martucci) 
      (nireo.it - 22 luglio 2008 - Eraldo Martucci) 
       
      «L'Orchestra Internazionale d'Italia é stata la vera protagonista del 
      Festival sia nel "Re Pastore" sia nel "Don Bucefalo", vuoi per l'insolita 
      bellezza del suono, vuoi per l'impeccabile precisione, qualità messe in 
      risalto dai rispettivi direttori: nel primo caso Giovanni Battista Rigon, 
      specialista del repertorio barocco e nel secondo caso Massimiliano Caldi, 
      già apprezzato nella scorsa "Salomè&#quot;.» 
      (ilgallo.org - 25 luglio 2008 - Fernando Greco) 
       
      «A Martina Franca il Festival della Valle d’Itria ha fatto rivivere la 
      sicurezza e la disinvoltura con cui il giovanissimo Cagnoni si inserisce 
      nella grande tradizione comica italiana da Rossini a Donizetti, guardando 
      soprattutto a quest’ultimo, giocando con garbo sui temi della vecchia 
      satira dei compositori e su situazioni note, ma sempre risolte 
      piacevolmente. Lo hanno fatto capire la sciolta e pertinente direzione di 
      Massimiliano Caldi, la bella regia di Marco Gandini ...» 
      (L'Unità - 28 luglio 2008 - Paolo Petazzi) 
       
      «Sul podio della brillante Orchestra Internazionale d'Italia, il maestro 
      Massimiliano Caldi é riuscito a governare lo spettacolo con abilità, 
      valorizzando l'eleganza e la freschezza cantabile che vivono nella 
      partitura, calcando l'accento della comprensibilità delle pagine dove 
      maggiormente sono evidenti i richiami agli "evangelisti" dell'operismo 
      italiano ottocentesco (Rossini, Bellini, Donizetti e il "primo" Verdi), 
      garantendo una resa del contesto strumentale nitida corroborando il tutto 
      con mordente vivacità ritmica.» 
      (operaclick.com - 22 luglio 2008 - Dino Foresio) 
       
      «(...) con il direttore Massimiliano Caldi in ottima forma.» 
      (giornaledellamusica.it - luglio 2008 - Fiorella Sassanelli) 
       
      «Quanto alla partitura non poteva trovare un miglior interprete del 
      maestro Massimiliano Caldi, che l'ha diretta con tale spigliatezza, 
      sottigliezza, brio e precisione, che mi chiedo per quale motivo egli, 
      Milanese di nascita e residenza, non sia mai stato invitato alla Scala: 
      Nemo propheta in Patria.» 
      (delteatro.it - 31 luglio 2008 - Piero Gelli) 
       
      «I virtuosismi belcantistici sono valorizzati da una buona compegnia di 
      giovani interpreti, tra cui spiccano il soprano Angelica Girardi e il 
      tenore Francesco Marsiglia, con il direttore Massimiliano Caldi in ottima 
      forma.» 
      (giornaledellamusica.it - luglio 2008 - Fiorella Sassanelli) 
       
      «La partitura é stata resa con il giusto equilibrio dall'Orchestra 
      Internazionale d'Italia, diretta egregiamente da Massimiliano Caldi.» 
      (teatro.org - luglio 2008 - Mirko Bertolini) 
       
      «Una partitura caleidoscopica resa con il giusto equilibrio dall'Orchestra 
      Internazionale d'Italia, diretta con energia e grande perizia da 
      Massimiliano Caldi.» 
      (cannibali.it - luglio 2008 - Enzo Garofalo)  | 
     
    
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       Don Bucefalo di 
      Cagnoni: spassosa ‘rivelazione’  
      al Festival della Valle d’Itria di Enzo Garofalo 
      Tratto da :http://www.cannibali.it/leggi.php?n=1&i=334&c=2 
      Si è presentata come una piacevole ventata di 
      freschezza, nonostante la sua veneranda età (la prima esecuzione 
      risale al 1847) l’opera “Don Bucefalo” del compositore lombardo Antonio 
      Cagnoni, andata in scena il 20 luglio presso il Palazzo Ducale di Martina 
      Franca nell’ambito del 34° Festival della Valle d’Itria, in prima 
      esecuzione assoluta per i tempi moderni, nell’edizione critica di Anders 
      Wiklund. 
       
      Melodramma giocoso in tre atti su libretto di Calisto Bassi ha la 
      peculiarità di rappresentare il vero esordio da ‘enfant prodige’ di un 
      Cagnoni appena diciannovenne. Entrato al Conservatorio di Milano a 14 anni 
      avrebbe rivelato presto un grande talento musicale con particolari doti 
      per il teatro, destinate a raggiungere l’apice in questo lavoro che doveva 
      essere il saggio di fine anno e che invece lo fece improvvisamente 
      ritrovare catapultato al centro di un successo europeo destinato a durare 
      per decenni. Dall’iniziale gruppo di studenti e cantanti locali si sarebbe 
      infatti presto passati ad affidarne l’esecuzione ad una compagnia di 
      professionisti, tra i quali il basso comico Alessandro Bottero che, nel 
      ruolo di Don Bucefalo, avrebbe unito il suo nome a quello di Cagnoni per 
      un trentennio. 
       
      Don Bucefalo è un maestro di cappella borioso, che giunge a portare 
      scompiglio in una comunità di contadini, dando vita a gags molto 
      divertenti che oltre ad innegabili doti canore richiedono anche una 
      notevole capacità interpretativa sul piano attoriale. Il maestro ode 
      cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito al punto da 
      proporre loro lezioni di canto, lusingandole con promesse di successo. Ad 
      abboccare per prime Rosa, Giannetta e Agata. La prima in particolare, 
      presunta vedova, tra un esercizio canoro e l’altro accetta la corte del 
      conte di Belprato e di Don Marco. Ma il marito Carlino torna inaspettato e 
      apprende degli intrighi amorosi. E’ così che tra battibecchi delle 
      contadine, pronte a contendersi il ruolo di ‘prima donna’, le goffe 
      schermaglie dei loro amanti ed i progetti artistici di Don Bucefalo, la 
      vicenda giunge al culmine nel terzo atto, col maestro di musica pronto ad 
      allestire la sua nuova opera. Rosa sarà la ‘prima donna’, ma ecco che 
      proprio al momento della sua entrata in scena, riappare Carlino deciso a 
      riprendersi la moglie, tra lo scompiglio generale. Don Bucefalo si trova 
      di fronte al fallimento della prova dello spettacolo, mentre Agata e 
      Giannetta, rivali di Rosa, gioiscono per la situazione imprevista ed il 
      conte paventa le rappresaglie di Carlino. Ma tutto finisce per il meglio e 
      Rosa pentita, giura fedeltà al ritrovato marito.  
       
      La trama, seguendo il modello del ‘teatro nel teatro’ riporta ad una 
      diffusa tradizione volta a rappresentare il mondo del teatro lirico 
      dell’epoca di cui mostra, a volte parodisticamente, le dinamiche 
      creative e produttive. Ne viene fuori un’opera che è un vero e proprio 
      tripudio di trovate musicali e drammaturgiche e, sebbene attinga alla 
      tradizione più consolidata dell’opera buffa italiana facendone propri gli 
      schemi, a partire dai ruoli vocali fino alla scrittura dei recitativi, 
      riesce a rielaborarla alla luce della evoluzione del linguaggio musicale 
      di quegli anni e di una fantasia quanto mai fervida, caratteristiche che 
      da parte di molti critici fecero considerare Cagnoni il vero 
      rivitalizzatore dell’opera comica. Molteplici dunque gli echi della 
      tradizione (da Paisiello a Cimarosa, a Fioravanti – delle cui 
      Cantatrici Villane Cagnoni parafrasa il libretto - a Rossini, a Donizetti) 
      di cui il giovanissimo compositore dimostra una sorprendente padronanza, 
      in un lavoro che se non è l’unico a collocarsi nel lasso di tempo 
      intercorso tra il ‘Don Pasquale’ di Donizetti ed il ‘Falstaff’ di Verdi, 
      fu quello che riuscì più di altri a dominare le scene per decenni. 
      Purtroppo Don Bucefalo rimane l'unica punta di diamante della produzione 
      di Cagnoni. 
       
      A colpire di quest’opera godibilissima, che ha buone premesse per un 
      futuro rientro nei cartelloni dei teatri d'opera, sono soprattutto una 
      capacità straordinaria di strumentazione, una scrittura vocale dagli esiti 
      virtuosistici e brillanti, una felice capacità di amalgamare voci ed 
      orchestra, una vena melodica accattivante ed un serrato andamento ritmico 
      che non lascia spazio alla noia. Alcuni dei momenti più esilaranti 
      dello spettacolo sono la ’lezione di canto’ che occupa gran parte del 
      primo atto o, nel secondo atto, la fase in cui Don Bucefalo concepisce la 
      partitura per la nuova opera di tema storico antico romano, allorchè prova 
      a declamare i versi, tentando di costruire la frase musicale sulla 
      musicalità e sul ritmo del testo per poi passare alla concertazione 
      strumentale dell’orchestra. Un momento di grande felicità compositiva che 
      fornisce all’interprete di Don Bucefalo l’occasione di mettere in campo 
      tutte le sue doti di attore, essenziali per rendere al meglio tutta la 
      scena. Per il resto l’opera è un piacevolissimo insieme di arie, 
      ensembles, recitativi semplici o accompagnati e dialoghi parlati, in 
      cui si manifesta con vigore la vena melodica e brillante di Cagnoni: una 
      partitura caleidoscopica resa con il giusto equilibrio dall’Orchestra 
      Internazionale d’Italia, diretta con energia e grande perizia dal M° 
      Massimiliano Caldi. 
       
      Gli interpreti di questa prima edizione moderna di ‘Don Bucefalo’ hanno 
      senz’altro contribuito nell’insieme alla riuscita dello spettacolo, 
      sebbene il valore del cast fosse abbastanza disuguale. Dotato di 
      indiscutibili doti interpretative e di un bel timbro vocale, il basso 
      baritono Filippo Morace, nel ruolo di Don Bucefalo, è riuscito senza 
      cedimenti a catturare l’attenzione e l'entusiasmo del pubblico, sebbene 
      nelle note più gravi la voce tendesse ad annullarsi nel suono 
      dell’orchestra. Scenicamente spigliata il soprano Angelica Girardi, nel 
      ruolo di Rosa, ha vocalmente affrontato la prova, a tratti complessa, con 
      sicurezza e precisione. Molto valida anche l’interpretazione del tenore 
      Francesco Marsiglia, nel ruolo del Conte di Belprato, sciupafemmine 
      impenitente, che ha cantato con voce squillante, elegante fraseggio e 
      musicalità. Disomogenea nel colore e nella consistenza la voce del soprano 
      Mizuki Date nel ruolo di Agata, che inoltre non ha curato a sufficienza la 
      parte espressiva. Poco omogenea ed eccessivamente leggera nel confronto 
      con la massa sonora dell’orchestra, la voce del tenore Massimiliano 
      Silvestri, sebbene sia stato convincente dal punto di vista scenico. Buona 
      la performance del mezzosoprano Francesca De Giorgi e del baritono 
      Graziano De Pace, rispettivamente nel ruolo di una procace Giannetta e di 
      un divertentissimo Don Marco. Ottimo il contributo del Coro Slovacco di 
      Bratislava, a cui la partitura riserva un ruolo di primo piano e che è 
      stato sapientemente guidato dal M° Pavol Prochazka. 
       
      Di grande dinamicità ed accuratezza la regia di Marco Gandini, puntata 
      sulla centralità della ‘lezione di canto’, con via vai di leggii e 
      spartiti, e sulla scorrevolezza di una comicità riletta in chiave di 
      commedia all’italiana anni ’50 - periodo al quale si sono uniformati 
      anche i bei costumi di Silvia Aymonino - fino alla scena finale dedicata 
      alle prove dell’opera-kolossal, in un affascinante mix di palcoscenico e 
      set cinematografico tipo Cinecittà. Perfettamente coerenti col resto le 
      scene di Italo Grassi, consistenti in un lungo muro esterno, lungo il 
      percorso Roma – Frascati, munito di insegne stradali d’epoca e che, 
      attraverso dei moduli trasversali semoventi diventa volta a volta anche 
      stanza, sala di lezione, set teatrale stracolmo di riflettori e manifesti 
      d’epoca. 
      Entusiastici gli applausi del pubblico (con qualche isolato fischio su 
      alcune uscite) che hanno richiamato più volte al proscenio tutti gli 
      artisti. 
      
      [garofalo@aliamedia.it ]  | 
     
   
  
 
"Il testamento di Figaro" è andata in scena il 26 febbraio 
1848 a Milano (Teatro Re) 
"Amori e trappole" è andata in scena il 27 aprile 1850 a Genova 
"Il sindaco babbeo" venne rappresentata il 3 marzo 1851 a Milano (Teatro San 
Radegonda) 
"La valle d'Andorra" è andata in scena il 7 giugno 1851 a Milano (Teatro della 
Cannobiana) 
"Giralda" è andata in scena l'8 maggio 1852 a Milano (Teatro San Radegonda) 
"La fioraia" è andata in scena il 24 novembre 1853 a Torino (Teatro Nazionale) 
"La figlia di Don Liborio" venne rappresentata a Genova il 18 ottobre 1856 
"Il vecchio della montagna, ossia L'Emiro" è andata in scena a Torino il 5 
settembre 1860 (Teatro Carignano) 
"Michele Perrin" venne rappresentata il 7 maggio 1864 a Milano (Teatro San 
Radegonda) 
"Claudia" è andata in scena il 20 maggio 1866 a Milano (Teatro della Cannobiana) 
"La tombola" venne rappresentata il 18 gennaio 1867 a Roma (Teatro Argentina) 
"Gli amori di Cleopatra" è stata eseguita nel 1870 
"Un capriccio di donna" è andata in scena il 10 marzo 1870 a Genova 
"Papà Martin" (The Porter of Havre) è andata in scena a Genova il 4 marzo 1871 
"Il duca di Tapigliano" venne rappresentata a Lecce il 10 ottobre 1874 
"Francesca da Rimini" venne rappresentata il 19 febbraio 1878 a Torino (Teatro 
Regio) 
"Il re Lear" è stata eseguita nel 1893. 
  
    
    
      
        | 
         RADIO3 SUITE - FESTIVAL DEI FESTIVAL 
        DOMENICA 19 LUGLIO 2009 ore 21.00 
        Martina Franca, Palazzo Ducale, 19 e 21 luglio 2009 ore 21,00 
        In diretta Euroradio 
        Palazzo Ducale di Martina Franca 
        35° FESTIVAL DELLA VALLE D'ITRIA 
        RE LEAR 
        Tragedia lirica in quattro atti e sette parti su libretto di 
        Antonio Ghislanzoni 
        musica di Antonio Cagnoni 
        edizione critica a cura di Anders Wiklund 
        Prima esecuzione assoluta 
         
        PERSONAGGI-INTERPRETI 
        Cordelia: Serena Daolio 
        Re Lear: Costantino Finucci 
        Edgardo: Danilo Formaggia 
        Regana: Eufemia Tufano 
        Conte di Gloster: Vladimer Mebonia 
        Il Matto: Rasha Talaat 
        Gonerilla: Maria Leone 
        Il Duca di Cornovaglia: Omar Jokhadze 
        Il Conte di Kent: Domenico Colaianni 
        Edmondo: Cristian Camilo Navarro Diaz 
         
        Orchestra Internazionale d'Italia 
        Coro Slovacco di Bratislava 
        Direttore d'orchestra: Massimiliano Caldi 
        Regia: Francesco Esposito 
        Scene: Nicola Rubertelli 
        Costumi: Maria Carla Ricotti 
        Coreografie: Mario Piazza 
        
          
        
        
        
        
        RADIO TRE Il libretto è 
        presente sul sito del FESTIVAL in formato .pdf 
        Edizione discografica 
        
          
        
        
        Etichetta Dynamic Prezzo € 29,90 
           | 
       
      
        | 
         35° FESTIVAL DELLA VALLE D’ITRIA 
        16 LUGLIO – 5 AGOSTO 
        PALAZZO DUCALE – MARTINA FRANCA  
         
        Prima rappresentazione mondiale  
        Secondo titolo d'opera in programma al Festival della Valle d'Itria, Re 
        Lear, l'ultima opera musicata da Antonio Cagnoni (Godiasco, 8 agosto 
        1828 - Bergamo 30 aprile 1896). Compositore dai meriti molto maggiori 
        di quanto riportino le storie della musica e tratta dalla tragedia 
        in cinque atti, in versi e prosa, Re Lear scritta tra il 1605 ed il 1606 
        da William Shakespeare. Mettere in musica il Re Lear fu anche il sogno 
        maturo che Verdi non riuscì a portare a termine. La storia trascritta 
        dal celebre librettista Antonio Ghislanzoni nel 1885, fu composta dal 
        Cagnoni nel 1893 ma non fu mai rappresentata vivente l'autore. Narra le 
        gesta di Re Lear, leggendario sovrano della Britannia che, 
        approssimandosi la vecchiaia, decide di dividere la Britannia fra le sue 
        tre figlie e i mariti che egli avrebbe loro assegnati, pur mantenendo 
        l'autorità regale. Il Re Lear è una novità assoluta: pur essendo di 
        grande interesse nell'evoluzione del melodramma italiano della fine 
        dell'Ottocento, ricco di influssi del tardo romanticismo europeo e del 
        movimento della Scapigliatura, non aveva mai visto le scene a causa 
        della morte del compositore subito dopo aver completato la partitura.
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         L'ultima opera musicata da Antonio Cagnoni (Godiasco, 
        8 agosto 1828 - Bergamo 30 aprile 1896) compositore dai meriti molto 
        maggiori di quanto riportino le storie della musica e tratta dalla 
        tragedia in cinque atti, in versi e prosa, "Re Lear" scritta tra il 1605 
        ed il 1606 da William Shakespeare. Mettere in musica il Re Lear fu anche 
        il sogno maturo che Verdi non riuscì a portare a termine. L'opera di 
        Cagnoni sarà presente nel cartellone del Festival della Valle D'Itria 
        2009 dopo il fortunato recupero nell'anno precedente del primo vero 
        successo del compositore, Don Bucefalo. La storia trascritta dal celebre 
        librettista Antonio Ghislanzoni nel 1885, fu composta dal Cagnoni nel 
        1893 ma non fu mai rappresentata vivente l'autore. Narra le gesta di Re 
        Lear, leggendario sovrano della Britannia che, approssimandosi la 
        vecchiaia, decide di dividere la Britannia fra le sue tre figlie e i 
        mariti che egli avrebbe loro assegnati, pur mantenendo l'autorità 
        regale. Il Re Lear è una novità assoluta: pur essendo di grande 
        interesse nell'evoluzione del melodramma italiano della fine 
        dell'Ottocento, ricco di influssi del tardo romanticismo europeo e del 
        movimento della Scapigliatura, non aveva mai visto le scene a causa 
        della morte del compositore subito dopo aver completato la partitura.  | 
       
      
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         [Dicono di Antonio Cagnoni dal DEUMM, Ed.UTET] 
        Fu allievo dapprima di F.Moretti, poi, dal 1842 al 
        1847, al Conservatorio di Milano, di P.Ray e di F.Frasi. Dal 1856 al 
        1863 ottenne il posto di maestro di cappella a Vigevano. Nel 1873 si 
        trasferì a Novara come direttore dell'istituto musicale di questa città 
        sostituendo Coccia. Nel 1887, alla morte di Ponchielli, ebbe l'incarico 
        di maestro di cappella a Bergamo in S.Maria Maggiore. Nello stuolo degli 
        operisti minori italiani del secondo Ottocento, Cagnoni raggiunse 
        notevole popolarità con due spartiti di genere giocoso, "Don Bucefalo" e 
        "Papà Martin", mentre il resto della sua produzione non oltrepassò 
        favori momentanei e successi di stima. Musicista fornito di un solido 
        mestiere artigianale (come era d'obbligo a quel tempo), Cagnoni 
        condivide tutti i limiti dei suoi colleghi: creatività occasionale, 
        scarse o nulle motivazioni culturali (col rischio di restar schiacciati 
        da soggetti troppo inpegnativi: si veda la "Francesca da Rimini"), 
        assoluta superficialità nel rapporto col testo. Per questo motivi il 
        musicista riuscì sufficientemente in lavori leggeri dove le possibilità 
        comiche, grottesche, caricaturali sopravanzavano di gran lunga 
        l'esigenza drammaturgica permettendo l'impiego (ancora gradito al 
        pubblico) di un linguaggio fra rossiniano e donizettiano, con agganci 
        fraquenti alla tradizione napoletana. Nel "Don Bucefalo" la goffa figura 
        del protagonista, un maestro di cappella borioso e spiantato, gli 
        consente di utilizzare una quantità di gags musicali non certo nuove, ma 
        comunque spassose se affidate ad un buon attore. In "Papà Martin", 
        commediola comico-sentimentale, la mano del musicista si fa più morbida, 
        la materia meno scontata: sono tuttavia, pregi troppo generici per 
        consentire a questi ed a molti altri spartiti coevi una esistenza meno 
        che effimera.   | 
       
      
        | 
         Martina Franca, Palazzo Ducale, Info. 080.4805 100  
        
        http://www.festivaldellavalleditria.it   | 
       
      
        | 
         RE LEAR di Antonio 
        Cagnoni 
        Tratto da :
        
        Vedi ... 
        Chi l’ha detto che il Re Lear di Shakespeare sia un’opera 
        irrappresentabile? Il Festival della Valle d’Itria, che ama le sfide, 
        tenta l’impresa. Domenica 19 luglio 2009, ore 21, a Palazzo Ducale, ci 
        sarà la prima rappresentazione mondiale di Re Lear, l’ultima opera 
        musicata da Antonio Cagnoni, che dopo lo strepitoso successo dello 
        scorso anno con Don Bucefalo, torna al Festival martinese. Re Lear è 
        l’appuntamento centrale di questa 35^ edizione, realizzato in 
        collaborazione con la Fondazione Petruzzelli di Bari. Il direttore è 
        Massimiliano Caldi, la regia di Francesco Esposito. 
         
        Si tratta di una tragedia lirica in quattro atti e sette parti nata, 
        nel 1893, dal lavoro di sinergia tra il compositore lombardo ed il 
        celebre librettista Antonio Ghislanzoni. La fonte letteraria è il 
        King Lear, uno dei lavori più apprezzati di William Shakespeare. L’opera 
        che tutti i compositori dell’Ottocento avrebbero voluto realizzare. 
        L’opera che il grande Verdi non riuscì a terminare e che neppure Cagnoni 
        ebbe la fortuna di vedere rappresentata.  
         
        Dopo l’applauso unanime riscosso dal dramma Orfeo ed Euridice di Gluck, 
        il Festival martinese prosegue con una delle tragedie per eccellenza. 
        L’intricata trama shakespeariana viene raccontata con semplicità dal 
        regista Francesco Esposito, alla sua quarta edizione a Martina: “Il 
        vecchio Re Lear, deciso ad abdicare e delegare il potere alle sue figlie 
        e ai loro mariti, spartisce tra questi il suo regno con un atto solenne. 
        A questo scopo viene tenuto il rituale del Love Test: pubblicamente il 
        Re chiede alle figlie quanto sia grande il loro amore per lui. Le prime 
        due rispondono come previsto dal rituale, cioè con un atto di 
        sottomissione completo, mentre la terza, Cordelia, si ribella a questa 
        liturgia, che le appare vuota e inutile. Il Re, di fronte al grave 
        attentato alla sua regalità e al sistema stesso su cui poggia il suo 
        potere, disereda la figlia prediletta. Inizia così per il vecchio 
        sovrano un percorso di solitudine e di follia che, dopo il tradimento 
        delle figlie ubbidienti, riporterà Re Lear tra le braccia di chi 
        veramente lo ha amato”, ossia proprio Cordelia. Ma la riconciliazione 
        non durerà a lungo, perché Cordelia verrà ben presto uccisa “dalla fame 
        di potere”. 
         
        Strazio ed emozioni complesse condensate da Shakespeare in quest’opera 
        semplificata da Ghislanzoni e dallo stesso Cagnoni, che si riconferma 
        con il suo splendido stile, all’insegna della bella melodia e rispettoso 
        della tradizione musicale antica. Il compositore lombardo, in netta 
        controtendenza con il gusto del suo tempo, si lascia ispirare da grandi 
        scrittori come Shakespeare, componendo musiche “fluide”, dalle forme 
        chiare e immediate e con il coro, che introduce e commenta i momenti 
        cruciali dell’azione. 
         
        Il travestimento nel secondo appuntamento dell’edizione dei 
        travestimenti è quello del Matto, colui che non ha paura di dire la 
        verità, il giullare che seguirà fedelmente Re Lear fino alla fine e che 
        verrà perseguitato dal potere a causa dei suoi interventi irriverenti. 
         
        A Martina Franca, domenica 19 luglio, il Festival della Valle d’Itria 
        restituirà finalmente ad un pezzo di storia la sua meritata 
        immortalità.  
         
        Gli interpreti saranno: Costantino Finucci (Re Lear), Serena Daolio 
        (Cordelia), Eufemia Tufano (Regana), Rasha Talaat (il Matto), Danilo 
        Formaggia (Edgaro), Mebonia Vladimer (Conte di Gloster), Leone Maria (Gonerilla), 
        Coletta Gianni (Duca di Cornovaglia), Domenico Colaianni (Conte di Kent), 
        Cristian Camilo Navarro Diaz (Edmondo), il Coro Slovacco di Bratislava, 
        l’Orchestra Internazionale d’Italia. Direttore Massimiliano Caldi, 
        regista Francesco Esposito. Coreografie di Domenico Iannone, scene di 
        Nicola Rubertelli, costumi di Maria Carla Ricotti.   | 
       
      
        | 
         
        
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        by Anders Wiklund (Anders Wiklund ha realizzato la 
        partitura che è stata utilizzata per la rappresentazione di  Re 
        Lear nel 2009 al  Festival della Valle d’Itria)
        
        Donizetti Society Londra 
        
        
        
        Newsletter 108, October 2009, pp.4-5 
        Traduzione italiana a cura di 
        Mario Mainino 
        (membro della Donizetti Society sino al 1998)
        Dopo avere avuto la Casa Ricordi, Milano come suo principale editore per 
        molti anni, Antonio Cagnoni nel 1866 si rivolse ad una casa editrice 
        appena fondata a Torino la Casa Editrice Giudici e Strada. L'azienda 
        nacque nel 1859 da Giovanni Battista Giudici e Achille Strada. Per più 
        di trenta anni questa impresa sarebbe stata la più importante di tutti 
        gli editori musicali torinesi. Dopo la morte di Strada (nel 1880) e 
        Giudici (1886) l'impresa passa ad Achille jr Strada, che scelse come 
        partner Ignazio Cazzini, per un breve periodo, e poi la casa editrice 
        milanese Arturo Demarchi, guidando l'azienda da solo fino alla sua morte 
        nel 1899, quando Paolo Mariani, prese il sopravvento.  
        Come aveva acquisito la società di Achille Tedeschi a Bologna, la casa 
        prese il nome imponente di "Riuniti Stabilimenti Musicali Giudici e 
        Strada, A. Demarchi, A. Tedeschi" di P. Mariani fu Claro. Aveva sede in 
        entrambe le città di Milano e Bologna e quando fu costituita a Milano 
        nel 1909 una Società Anonima il numero di titoli in catalogo era salito 
        a circa 22.000. Tra i compositori originariamente pubblicati dalla casa 
        editrice sono, ad esempio F. von Flotow (La fleur de Harlem [in italiano 
        Il Fiore di Harlem]), A.Ponchielli (I Mori di Valenza), Lauro Rossi 
        (Cleopatra) e molti altri. 
        Durante la prima guerra mondiale l'azienda fallisce e causa di problemi 
        di credito e viene rilevata da Luigi Stoppa nel 1920, che chiude 
        l'attività nel 1930. La procedura finanziaria della chiusura è stata 
        effettuata da Banca Cattolica di S. Antonio di Piacenza, che si rivolse 
        al Bibliotecario di quello che oggi è il Conservatorio "Nicolini" di 
        Piacenza per aiuto, così la biblioteca del Conservatorio "Nicolini" 
        di Piacenza ha ricevuto l'intero archivio musicale della ex Giudici & 
        Strada de da allora vi è li ospitato. 
        Ma tornando al Cagnoni, che ha passato alla nuova casa editrice musicale 
        pubblicare la sua opera "Claudia" nel 1866, la loro collaborazione 
        proseguì, nel 1878 per Francesca da Rimini così come nel 1884 per la 
        Messa funebre per 4 Voci e orchestra, che sono stati pubblicati dalla 
        ditta torinese. Gli autografi di questi pezzi sono ora reperibili nella 
        biblioteca del Conservatorio di Piacenza.  
        Nel 1880 Cagnoni rivolse il suo interesse a Re Lear di W.Shakespeare. 
        [..] E' ben noto come Verdi trascorse molti dei suoi anni creativi 
        cercando di trovare un libretto abbastanza buono per un Re Lear. 
        Quindi è più che intrigante che Cagnoni fosse poi il compositore che 
        Verdi scelse per scrivere il "Quid sum miser" nella Messa (a più mani) 
        in morte di Gioachino Rossini del 1869, e che Antonio Ghislanzoni, 
        librettista di Verdi per Aida, è stato quello che scrisse il libretto 
        per Lear di Cagnoni. 
        Dai registri della casa editrice si apprende che i diritti di Re Lear 
        erano nelle loro mani nel 1888 (Arena)[1], 
        ma alla morte di Cagnoni il 30 settembre 1896, l'opera non aveva ancora 
        avuto la sua prima. 
        Quattro anni dopo la morte del compositore Giudici & Strada pubblicò la 
        partitura vocale. Nonostante ciò ci sono due lettere scritte da Cagnoni 
        al M ° Pietro Sormani, Direttore sostituto di Toscanini e a Campanini al 
        Teatro alla Scala che aveva chiesto dettagli sulla opera 
        [2]. Dalla risposta di Cagnoni è evidente che qualche trattativa 
        era andata avanti con la Scala per la messa in scena Re Lear: c'erano 
        suggerimenti su quale parte della stagione sarebbe la più favorevole e 
        che Il Matto potrebbe essere considerato come un tenore Secondo. Le 
        lettere sono da febbraio 1895 e un anno prima della morte di Cagnoni, 
        nulla è successo e l'interesse della Scala finì in nulla. 
        Il materiale di Re Lear nella biblioteca del Conservatorio di Piacenza 
        consiste nella partitura autografa in quattro volumi, uno per ogni atto, 
        in parte autografo e una partitura vocale - le linee vocali scritte da 
        un copista mentre Cagnoni scrive la parte del pianoforte. Inoltre vi è 
        una serie completa di parti orchestrali (tranne che per la banda di cui 
        solo una "guida" è disponibile) tutte scritte a mano. Nell'esaminare 
        queste parti ci si rende conto che non sono mai state utilizzate, quando 
        li si apre il crepitio delle pagine appiccicate è un'eco del passato. 
        Le pagine sono bianche, senza la solita ombra giallastra. Nemmeno un 
        singolo segno di matita degli strumentisti. In altre parole: materiale 
        completamente vergine, raro da vedere. C'è anche un copia partitura in 
        quattro volumi con poche correzioni del copista (che ha anche inserito 
        le relative rettifiche corrispondenti all'autografo come Cagnoni stesso 
        aveva apportato quando ha preparato lo spartito vocale!). Non vi è 
        traccia di un libretto stampato e né alcuna menzione di qualsiasi testo 
        stampato in Caselli [3]. 
        E 'interessante osservare Re Lear confrontandolo con l'ambiente musicale 
        in cui l'anziano compositore viveva. Negli anni 1880-90 il mondo 
        dell'opera italiana aveva sicuramente subito dei cambiamenti e influenze 
        che chiusero per sempre l'epoca d'oro del Primo Ottocento, sia Wagner 
        che l'opera francese erano entrati nei teatri lirici italiani e, 
        naturalmente, una nuova generazione di compositori italiani era arrivata 
        sulla scena: Puccini, Mascagni, Zandonai, Montemezzi, ecc.  
        Cagnoni era nato nel 1828, quando ancora l'opera era scritta con forme 
        che forse erano prevedibili, ma permettevano anche ai compositori di 
        allargare i confini di espressione musicale e drammatica. Cagnoni 
        portava in sé sia la forza che la debolezza del Teatro dell'Opera a 
        numeri chiusi, ora però privata del suo recitativi. 
        Come possiamo vedere dall'elenco che segue dei numeri in Re Lear, è 
        ovvio che Cagnoni potesse gestire il vecchio formato a numeri chiusi, 
        trasformandolo in una sequenza veramente personale: 
         
        ATTO PRIMO 
        n.1 Introduzione 
        ATTO SECONDO 
        n.2 Scena ed Aria (Edgardo) 
        n.3 Scena e Duetto (Cordelia, Edgardo) 
        n.4 Finale 2° 
        ATTO TERZO 
        n.5 Preludio, Scena e Romanza (Edgardo) 
        n.6 Coro e Tempesta 
        n.7 Scena e Quartette (Matt, Edgardo, Lear, Gloster) 
        n.8 Coro, Scena e Duetto (Cordelia, Lear) 
        ATTO QUARTO 
        n.9 Scena ed Aria (Regana) 
        n.10 Scena ed Duetto (Regana, Edgardo) 
        n.11 Coro e Ballabile 
        n.12 Scena e Finale ultimo 
         
        L'equilibrio dell'opera è evidente, il n.1 e il n.12 
        creano le delimitazioni esterne, gli Atti 2 e 4 formano la cornice per 
        la parte centrale dell'Atto 3 con i quattro numeri. 
        Una forma che riflette anche la portata drammatica dello stesso gioco 
        con un forte atto terzo centrale. Cagnoni li creò con una musica che ha 
        il suo punto di partenza nel passato, nel 1840, con l'eleganza 
        drammatica di Donizetti e il forte accento drammatico di Verdi, legata 
        all'attuale cromatismo wagneriano, una miscela della sottile armonia 
        francese di un Gounod e un Massenet e tratti del verismo e del 
        sentimento pucciniano.  
        A pieno titolo, Re Lear diventa così il "Canto del Cigno" dell'Opera 
        italiana del 19° secolo! 
        [1] 
        S..Arena: L'archivio delta casa editrice Giudici & Strada presso il 
        Conservatorio "Nicolini" di Piacenza. Fonti Musicale Italiane, 5, 2000, 
        pp. 249-269 
        [2] Sono grato a 
        Alexander Weatherson che mi ha fatto notare l'esistenza di queste 
        lettere nel Gallini Catalogues dal 2001 e 2003. 
        [3] Caselli, A.: Catalogo 
        delle opere liriche pubblicate in Italia, Olschki Ed., Firenze, 1969 
        Tratto da
        
        http://www.donizettisociety.com/Newsletters/articlenews108.htm   | 
       
     
    
 
   
La
Biblioteca conserva la Raccolta Antonio Cagnoni (Godiasco, Pavia, 1818 - 
Bergamo 1896), musicista e direttore della Cappella musicale di Santa Maria 
Maggiore di Bergamo. La raccolta, giunta in Biblioteca nei primi anni di questo 
secolo, comprende soprattutto manoscritti musicali, diplomi, attestazioni di 
merito e lettere. Corrispondenza Antonio Cagnoni Sono raccolte in due volumi di 
"Diplomi e corrispondenza diversa" (MMB 352-353) 204 lettere e due post mortem 
(1858-1892) relative all'attività musicale, a rapporti con editori e a incarichi 
professionali. 
   
Antonio
Cagnoni - libretti 
    
 
 
  
  
    
      | Invito all'Opera Antonio Cagnoni di 
      Maurizio Giarda Cagnoni fu uno dei più interessanti operisti di metà 800. 
      Nacque a Godiasco (Pavia) nel 1828, studiò a Milano con Lauro Rossi e a 18 
      anni scrisse due opere “I DUE SAVOIARDI” e “ROSALIA DI SAN MINIATO”, e nel 
      1847 con “DON BUCEFALO” colse un vero trionfo e resterà la sua opera più 
      popolare: è una commediola ambientata nel mondo dell’opera, si prova una 
      nuova opera e il compositore Bucefalo è innamorato della prima cantante, 
      Rosa, che però ama un giovane tenore; dopo una girandola di colpi di scena 
      Bucefalo si deve arrendere. Si sentono echi di Donizetti nella musica, tra 
      le pagine più valide l’aria di Rosa, “colui che mi dice”, la lezione di 
      canto di Bucefalo a Rosa, la canzone popolare dei contadini “sorgi o notte 
      amica”, il duetto Rosa-Carlino. Continua col genere comico scrivendo 
      “AMORI E TRAPPOLE”, “IL TESTAMENTO DI FIGARO”, “LA FIORAIA”, tipiche 
      commedie ilari, sentimentali: con “LA VALLE D’ANDORRA” tenta il genere 
      semiserio mostrando una notevole tecnica strumentale, e con “CLAUDIA” del 
      1866 tenta il genere drammatico con buoni risultati. Nel 1870 ha un altro 
      grande successo con “PAPÀ MARTIN”, di tono sentimentale, patetico. Altre 
      opere di rilievo sono “IL VECCHIO DELLA MONTAGNA” e “MICHELE PERRIN”, 
      commedia sociale che porta sulla scena i problemi del lavoro, il 
      proletariato milanese, il vano tentativo di un giovane di campagna di 
      lasciare la campagna e inserirsi nel mondo milanese. Dopo il 1870 
      nell’opera italiana avvengono grandi mutamenti e nuovi orientamenti, 
      arrivano le opere di Wagner, Carmen, Boito, col “MEFISTOFELE”, tenta un 
      opera filosofica, si trattano grandi temi spirituali, metafisici; anche 
      Cagnoni tenta di aggiornarsi, del 1874 è “UN CAPRICCIO DI DONNA” che si 
      svolge a Parigi nel 700, del 1878 “FRANCESCA DA RIMINI”, la sua opera più 
      impegnativa, il tentativo di superare schemi convenzionali. Di particolare 
      rilievo drammatico il finale con l’uccisione di Paolo e Francesca, 
      notevole anche la caratterizzazione ambientale medievale. Si sente un 
      influsso di Wagner nella strumentazione e accenti preveristi. Muore nel 
      1896. tratto da 
      Invito all'Opera Antonio Cagnoni 
      di Maurizio Giarda reperibile all'indirizzo : 
      
      http://www.primonumero.it/musica/classica.php?id=181   | 
     
   
  
 
 Elenco delle opere 
rappresentate di
    Antonio Cagnoni 
    Tratto dalla Gazzetta musicale di Milano 1896 
    
      
        | N. | 
        Anno | 
        Mese/gg | 
        Città | 
        Teatro | 
        Titolo | 
        Genere | 
        Poeta | 
       
      
        1  | 
        1845  | 
        28-feb  | 
        Milano | 
        Conservatorio di
        Musica | 
        Rosalia di S.Miniato | 
        semiserio | 
        Bassi | 
       
      
        2  | 
        1846  | 
        15-giu  | 
        Milano | 
        Conservatorio di
        Musica | 
        I due Savoiardi | 
        semiserio | 
        Tarantini | 
       
      
        3  | 
        1847  | 
        28-giu  | 
        Milano | 
        Conservatorio di
        Musica | 
        Don Bucefalo | 
        buffo | 
        Bassi | 
       
      
        4  | 
        1848  | 
        26-feb  | 
        Milano | 
        Re | 
        Il testamento di
        Figaro | 
        buffo | 
        Bassi | 
       
      
        5  | 
        1850  | 
        17-apr  | 
        Genova | 
        Carlo Felice | 
        Amori e trappole | 
        buffo | 
        Romani | 
       
      
        6  | 
        1851  | 
        07-giu  | 
        Milano | 
        Canobbiana | 
        La Valle d'Andorra | 
        semiserio | 
        Giacchetti | 
       
      
        7  | 
        1852  | 
        08-mag  | 
        Milano | 
        S.Radegonda | 
        Giralda | 
        semiserio | 
        Giacchetti | 
       
      
        8  | 
        1853  | 
        24-nov  | 
        Torino | 
        Nazionale | 
        La Fioraia | 
        buffo | 
        Giacchetti | 
       
      
        9  | 
        1856  | 
        18-ott  | 
        Genova | 
        carlo Felice | 
        Le figlie di Don
        Liborio | 
        buffo | 
        Guidi | 
       
      
        10  | 
        1860  | 
        07-set  | 
        Torino | 
        Carignano | 
        Il vecchio della
        montagna | 
        serio | 
        Guidi | 
       
      
        11  | 
        1864  | 
        12-mag  | 
        Milano | 
        Filodrammatici | 
        Michele Perrin | 
        buffo | 
        Marcello | 
       
      
        12  | 
        1866  | 
        20-mag  | 
        Milano | 
        Canobbiana | 
        Claudia | 
        serio | 
        Marcello | 
       
      
        13  | 
        1868  | 
        18-gen  | 
        Roma | 
        Argentina | 
        La Tombola | 
        buffo | 
        Piave | 
       
      
        14  | 
        1870  | 
        10-mar  | 
        Genova | 
        Carlo Felice | 
        Un capriccio di donna | 
        serio | 
        Ghislanzoni | 
       
      
        15  | 
        1871  | 
        04-mar  | 
        Genova | 
        Nazionale | 
        Papà Martin | 
        buffo | 
        Ghislanzoni | 
       
      
        16  | 
        1874  | 
        10-ott  | 
        Lecco | 
        Sociale | 
        Il Duca di Tapigliano | 
        buffo | 
        Ghislanzoni | 
       
      
        17  | 
        1878  | 
        19-feb  | 
        Torino | 
        Regio | 
        Francesca da Rimini | 
        serio | 
        Ghislanzoni | 
       
     
     
      
      Antonio
Cagnoni - libretti 
 
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