Cultura e Spettacolo
a cura di Mario Mainino

Focus on



Le stagioni a Vigevano



Opere liriche al Castello Sforzesco di Vigevano  luglio 2001 foto, presentazione e commenti sulla manifestazione



W  VERDI un solo grande amore!! La vita e i libretti di tutte le sue opere.

 

 

Teatro Cagnoni di Vigevano


Ricordo di Antonio Cagnoni
nel centenario della morte 11 dicembre 1996 Vigevano


Antonio Cagnoni
8 febbraio 1828 Godiasco (Pavia) - 30 aprile 1896 Bergamo
maestro di cappella a Vigevano (1856) e a Bergamo (1888)

Cagnoni fu a Vigevano sino al 1879 quando passò a Novara come successore di Carlo Coccia quale organista a San Gaudenzio e poi nel 1888 passò a Bergamo in Santa Maria Maggiore come sostituto di A. Ponchielli dove vi morì nel 1896.

La vena espressiva di Cagnoni si realizzò compiutamente nel genere buffo che, attorno alla metà dell’Ottocento, conobbe una rinnovata fortuna. A lui è dedicato il l Civico Teatro Antonio Cagnoni di Vigevano di Vigevano (Pavia) dove nell'ottobre 1875 vennero allestite due opere del cittadino vigevanese d'adozione Antonio Cagnoni, il Papà Martin e il Don Bucefalo.

Di fronte ad un pubblico, purtroppo ridotto, si è tenuto a Vigevano un convegno dedicato ad Antonio Cagnoni, a lui dedicato dalla città che lo ospitò per ben 21 anni, come maestro di cappella della cattedrale. Nel centenario della morte ci si è ricordati di un autore che fu cosi stimato dai contemporanei tanto da entrare nella lista dei prescelti per la composizione di quel requiem a più mani che doveva essere scritto per la morte di Rossini. Autore di diciassette opere liriche di cui nove nel genere buffo, quattro in quello semiserio e quattro nel genere serio, ebbe come librettisti Romani(1), C.Bassi(3), Ghislanzoni(4), M.Marcello(2), Piave(1), Tarantini(1), Giacchetti(3), Guidi(2) e i suoi lavori furono rappresentati a Milano (8), Genova(4), Torino(3), Roma (1), Lecco(1).
Nato a Godiasco il 8 febbraio 1828, fu maestro di cappella in cattedrale a Vigevano dal 1852 al 1873, a Novara dal 1873 al 1877, e a Santa Maria Maggiore a Bergamo sino alla morte avvenuta il 30 aprile 1896; a lui venne dedicato il massimo teatro di Vigevano.
"Godette di una certa popolarità come operista" cosi viene liquidato da alcune enciclopedie, e le sue opere citate sono Don Bucefalo(1847), Michele Perrin(1864), Papa Martin (1871), Francesca da Rimini(1878)
Nel convegno vigevanese, i primi relatori hanno illustrato più il panorama musicale nel quale visse che non piuttosto la sua figura; Sergio Martinotti ha aperto i lavori del convegno delineando la storia de "Il comico nel teatro musicale dell'800" partendo dal '700 con l'adagiarsi a schemi che diventavano sempre più obsoleti, fino al re dell'opera napoletana, Paisiello, ed al nuovo astro rossiniano se pur fischiato alla prima romana del Barbiere.
Un filone comico che passa attraverso il capolavori donizettiani del Don Pasquale e Elisir; sin quando l'Italia si divide guardando da una parte al grande motore della drammaturgia verdiana e dall'altro guardando oltralpe, con la scapigliatura, nella quale domina forse più la cornice del contenuto. Quando il grand operà irrompe con lo sguardo rivolto all'esotismo, Cagnoni da attento musicista, consapevole dei propri mezzi, si dedica con onestà al recupero della comicità nel teatro d'opera.
Danilo Prefumo ha voluto sottolineare il valore della musica strumentale dell'800 italiano, dovuta in primo luogo a grandi strumentisti come Paganini, Rolla, Giuliani, che portano avanti la tradizione nazionale di strumentisti e compositori quali Vivaldi, Sammartini e Tartini, ma senza potere contrastare il predominio dell'opera lirica, predominio indiscusso nel paese del bel canto, quasi che la mancanza di strumentisti fosse compensata dalla sovrabbondanza dei librettisti al contrario di quanto succedeva nello stesso periodo in Germania.
Alberto Cantù con la sua relazione "Il concertista va in scena" ha invece sottolineato come molte volte il valore dell'opera fosse legato all'interprete e non tanto al lavoro in se stesso, e come ai giorni nostri quando si tenta di recuperare un opera dimenticata sarebbe opportuno verificare la validità degli interpreti scelti per non sotterrare definitivamente il lavoro con un recupero mal fatto.
Terminati gli interventi che definirei di "assoluto contorno" nonostante il "nome" dei relatori, siamo entrati nel merito della figura di A.Cagnoni con la dott.ssa Maria Teresa Della Borra, che ha dimostrato di avere effettuato uno studio molto approfondito della produzione musicale di Cagnoni, partendo da quei primi lavori di saggio che gli venivano richiesti al Conservatorio come la "Rosalia di san Miniato" (1847) o quel Don Bucefalo(1847) che fu il saggio di chiusura dei suoi studi, e che fu coronato da "grandissimo successo" riconfermato in una successiva esecuzione a Marsiglia, tanto che il Cagnoni fu subito notato dal Ricordi che se lo assicurò.
Quando affronta l'opera seria con la "Claudia"(1866) la critica la definisce "grandiosa" e segnala "la fluidità della melodia che del moderno si abbella del meglio", anche il Ghislanzoni la criticò molto favorevolmente. Con "Papa Martin" inizia una fase ancora comica ma affrontata in modo diverso, si sente l'influsso della scapigliatura, l'ambientazione povera, il lavoro, il risparmio, i valori sociali, il comico (l'usuraio) unito al patetico( papà Martin) ne fa' un lavoro di successo, a Genova fu replicata sino al 1900.
La sua "Francesca da Rimini", che fu rappresentata accanto a "Le Roj de Lahore", ricevette critiche contrastanti, forse anche dovute agli interventi del Ghislanzoni con l'inserimento di balli e parate; alcuni la giudicarono "essere senza senso", altri segnalarono "l'intensa partecipazione, la fluidità melodica" la "miglior resa del IV atto dove l'autore da il massimo", e come l'autore fosse "melodista chiaro e fluido, decorato da spunti armonici", in ogni caso fu ancora rappresentata per ben 20 anni.
Il suo disagio per il gusto imperante, è stato ben delineato dalla relazione del vigevanese Carlo Ramella, che ha esaminato la numerosa produzione liturgica giacente presso gli archivi vigevanesi, a Novara e Bergamo, in un periodo dove il riferimento ad arie solistiche e a manomissioni del testo sacro per costruire affascinanti cattedrali sonore, sollecitava l'attenzione della Chiesa che richiamava ad una maggiore aderenza della musica sacra al proprio compito liturgico, il Cagnoni dimostrava "senso giusto ed equilibrato nell'intendere il classico romano ideale della musica sacra" a cui dovevano conformarsi gli autori. Non ha caso esistono "richiami" del Capitolo per quegli organisti che fanno sentire troppo "l'opera" nelle loro esecuzioni.
In ogni caso se Antonio Cagnoni non ebbe particolari interessi di ricerca per il nuovo, ha approfondito le "vie note" curando i dettagli, approfondendo la chiarezza del discorso musicale cercando di svincolarsi dal convenzionalismo, ed approfondendo il linguaggio armonico.

Mario Mainino

OPERE
Ha scritto musica per orchestra da camera e vocale, musiche sacre (fra cui una Messa da Requiem). Nacque nel 1828, lo stesso anno dei compositori Barthe, Cossoul, Gevaert, Jouret, Luzzi, Platania, Poise, Rossi, Schubert, Siboni.
"Rosalia di S Miniato" venne rappresentata il 28 febbraio 1845 a Milano (Conservatorio)
"I due savoiardi" venne rappresentata il 15 giugno 1846 a Milano (Conservatorio)
"Don Bucefalo", Melodramma giocoso in 3 Atti, venne rappresentata il 28 giugno 1847 a Milano (Conservatorio)

Don Bucefalo -Personaggi
Don Bucefalo, maestro di musica spiantato (Basso); Carlino, giovane militare (Tenore); Rosa, sua presunta vedova (Soprano); Agata (Mezzosoprano) e Giannetta (Soprano), contadine; Don Marco, benestante podagroso e spasimante di Rosa (Basso); il conte di Belprato, amante di Rosa (Tenore); contadini e contadine

Martedì 22 Luglio 2008 Palazzo Ducale Martina Franca
DON BUCEFALO
melodramma giocoso in tre atti su libretto di Calisto Bassi
musica di Antonio Cagnoni
Prima esecuzione assoluta in tempi moderni
Edizione critica a cura di Anders Wiklund
Editore Casa Ricordi, Milano

Il Conte di Belprato: Aldo Caputo
Don Bucefalo: Filippo Morace
Gianetta: Francesca De Giorgi
Carlino: Massimiliano Silvestri
Don Marco: Graziano De Pace
Rosa: Angelica Girardi
Agata: Date Mizuki
Coro Slovacco di Bratislava
Orchestra Internazionale d’Italia
direttore: Massimiliano Caldi
regia: Marco Gandini
scene: Italo Grassi
costumi: Silvia Aymonino


Edizione discografica

Don Bucefalo

Etichetta Dynamic Prezzo € 29,90
 

Don Bucefalo di Antonio Cagnoni, prima esecuzione in tempi moderni, è la seconda opera in scena al Festival della Valle d’Itria, domani 20 luglio, inizio ore 21.00.
Intorno alla metà dell’ottocento il genere buffo conobbe una particolare fortuna ed in questo periodo, fra una moltitudine di operisti minori italiani, Antonio Cagnoni (Godiasco, Pavia 1828 – Bergamo 1896) raggiunse in età giovanile una grande notorietà, toccando l’apice della sua vena espressiva grazie a uno spartito proprio di genere giocoso, il Don Bucefalo.

Parafrasata dalle Cantatrici villane di Valentino Fioravanti, l’opera si caratterizzò nel ricco filone dei soggetti legati alla satira sul teatro in musica. La goffa figura del protagonista, un maestro di cappella borioso e spietato, divenne un cavallo di battaglia del celebre basso buffo Alessandro Bottero, che nel 1865 fece approdare l’opera a Parigi, andata in scena per la prima volta al Conservatorio di Milano il 28 giugno 1847. Ma Cagnoni, sfruttando con oculatezza le formule del genere buffo, seppe mettere alla prova bassi ciarlieri, tenori e soprani lirici, ricorrendo anche a dialoghi in dialetto napoletano e a una scrittura strumentale sorprendentemente densa.
Tra le pagine più riuscite dell’opera (che fu ripresa con successo a Milano al Teatro Re nel 1847, alla Scala nel ’48 e al Carcano nel ’49, fino a un’esecuzione americana nel 1867 di cui dà notizia il New York Times dell’epoca) spiccano il quartetto "Io dirò se nel gestire", l’aria "Ah! figliuol; date mente" (Don Bucefalo), il concertato "Chi mi ha tolto, poveretta" (finale del secondo atto) e la gustosissima scena della prova d’orchestra "Trai, trai, trai, larà larà" (Don Bucefalo).

Don Bucefalo ode cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito; offre loro lezioni di canto, lusingandole con promesse di gloria. Giannetta, Agata e Rosa abboccano; quest’ultima si consola della presunta vedovanza da Carlino, con il conte di Belprato e con il vecchio Don Marco. Ma Carlino torna inaspettatamente e apprende degli intrighi amorosi. La vicenda si snoda quindi tra i battibecchi delle contadine, che si contendono il ruolo di ‘prima donna’, le peripezie dei loro amanti e le velleità artistiche di Bucefalo; il culmine giunge nel terzo atto, allorché il maestro di musica allestisce la sua nuova opera. Rosa ne è la ‘prima donna’ ma, proprio al momento della sua entrata in scena, ecco comparire Carlino che reclama la moglie, creando lo scompiglio generale. Don Bucefalo si dispera per il fallimento della prova; Agata e Giannetta, invidiose di Rosa, esultano per la sua imminente punizione; il conte trema. Naturalmente tutto finisce per il meglio e Rosa si pente, giurando fedeltà al marito ritrovato. L’opera sarà trasmessa in diretta su radio 3 Suite. L’edizione rappresentata sarà pubblicata su CD.

Martina Franca, Palazzo Ducale, Info. 080.4805 100
http://www.festivaldellavalleditria.it

La recensione di Mirko Bertolini Martina Franca (TA), palazzo ducale

Don Bucefalo di Antonio Cagnoni
"Negli anni cinquanta"

tratto da: http://www.teatro.org/spettacoli/nuovo/don_bucefalo_1110_11211

Il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, giunto alla sua 34esima edizione, ha il grande pregio di presentare ogni anno al pubblico titoli in prima esecuzione nei tempi moderni, riscoprendo non solo titoli passati nel dimenticatoio ma anche autori che, già noti nei loro tempi, ora non ricorda quasi nessuno. Quest’anno, accanto al Re pastore, musicato da Niccolò Piccinni su libretto del Metastasio e al Pelagio di Saverio Mercadante, è stata rappresentata il Don Bucefalo, opera giovanile del compositore lombardo Antonio Cagnoni (1828 – 1896). Il Cagnoni, compositore che nella folta schiera degli operisti minori dell’Ottocento italiano, spesso ingiustamente dimenticati, occupa un posto di rilevo, scrisse numerose opere che incontrarono il favore del pubblico, soprattutto nei teatri di Torino e Milano. Solo una ebbe, però un notevole successo, Don Bucefalo, composta nel 1847 ad appena 19 anni come saggio finale dei suoi studi al Conservatorio di Milano.
Il lavoro, che doveva essere solo il saggio di fine anno scolastico, fece improvvisamente catapultare il Cagnoni al centro di un successo europeo destinato a durare per decenni.
La vena espressiva di Cagnoni si realizzò compiutamente nel genere buffo che, attorno alla metà dell’Ottocento, conobbe una rinnovata fortuna; a questo particolare momento appartiene Don Bucefalo.

Don Bucefalo è un maestro di cappella borioso, che giunge a portare scompiglio in una comunità di contadini, realizzando gags molto divertenti che, oltre ad innegabili doti canore, richiedono anche una notevole capacità interpretativa sul piano recitativo. Il maestro ode cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito; offre loro lezioni di canto, lusingandole con promesse di gloria. Giannetta, Agata e Rosa abboccano; quest’ultima si consola della presunta vedovanza con il conte di Belprato e con il vecchio Don Marco. Carlino, il marito, torna inaspettatamente e apprende di quegli intrighi amorosi. La vicenda si snoda tra i battibecchi delle contadine, che si contendono il ruolo di prima donna, le peripezie dei loro amanti e le velleità artistiche di Bucefalo; il culmine giunge nel terzo atto, allorché il maestro di musica allestisce la sua nuova opera. Rosa ne è la prima donna ma, proprio al momento della sua entrata in scena, ecco comparire Carlino che reclama la moglie, creando lo scompiglio generale. Don Bucefalo si dispera per il fallimento della prova; Agata e Giannetta, invidiose di Rosa, esultano per la sua imminente punizione; il conte trema. Naturalmente tutto finisce per il meglio e Rosa si pente, giurando fedeltà al marito ritrovato.

La trama segue il modello del teatro nel teatro che riporta a una diffusa tradizione volta a rappresentare il mondo del teatro lirico dell’epoca, di cui mostra le dinamiche creative e produttive in una situazione di burla. Ne viene fuori un’opera che è ricolma di trovate musicali e drammaturgiche. Sebbene attinga alla tradizione più consolidata dell’opera buffa italiana (bassi ciarlieri, tenori e soprani lirici, cavatine in due movimenti senza il tempo di mezzo, ricorso al recitativo secco e ai dialoghi in dialetto napoletano), facendone propri gli schemi, dai ruoli vocali fino alla scrittura dei recitativi, riesce a rielaborarla alla luce dell’evoluzione del linguaggio musicale di quegli anni e di una fantasia quanto mai fervida.

Molteplici dunque gli echi della tradizione (da Paisiello a Cimarosa, a Rossini, a Donizetti, al giovane Verdi) di cui il giovanissimo compositore dimostra una sorprendente padronanza: molti, ascoltando Don Bucefalo avranno ricordato l’Elisir d’amore oppure Il signor Bruschino.

Colpisce la capacità di strumentazione, una scrittura vocale dagli esiti virtuosistici e brillanti, una felice capacità di amalgamare voci e orchestra, una vena melodica accattivante e un serrato andamento ritmico che non lascia spazio alla noia.

Alcuni dei momenti più esilaranti dello spettacolo sono la lezione di canto che occupa gran parte del primo atto o, nel secondo, la fase in cui Don Bucefalo concepisce la partitura per la nuova opera di tema storico antico romano, tentando di costruire la frase musicale sulla musicalità e sul ritmo del testo per poi passare alla concertazione strumentale dell’orchestra.

Un momento che fornisce all’interprete di Don Bucefalo l’occasione di mettere in campo tutte le sue doti di attore, essenziali per rendere al meglio tutta la scena.

Il regista Marco Gandini ha riletto l’opera ambientandola, tra l’altro senza scadere nel banale o nell’incongruo, nella campagna romana degli anni cinquanta del secolo passato, anni in cui nasceva il desiderio di fare successo nel mondo dello spettacolo; ne è risultata una regia dinamica e scorrevole, che ha dato giusto rilievo alla comicità dell’opera buffa.

Semplici le scene di Italo Grassi, consistenti in un lungo muro esterno, sulla strada Roma – Frascati, che diventa volta a volta stanza da letto, sala prove, palcoscenico del teatro nel teatro.

Belli e intonati alle scene i costumi di Silvia Aymonino.

La partitura è stata resa con il giusto equilibrio dall’Orchestra Internazionale d’Italia, diretta egregiamente dal Massimiliano Caldi.

Omogeneo e ben affiatato il cast che ha visto primeggiare il basso-baritono Filippo Morace nel ruolo di Don Bucefalo, che è riuscito senza cedimenti a catturare l’attenzione e l'entusiasmo del pubblico, anche per la grande presenza scenica come buffo. Bravi anche gli altri interpreti: il soprano Angelica Girardi nel ruolo di Rosa, il Conte di Belprato del tenore Francesco Marsiglia, il mezzosoprano leccese Francesca De Giorgi in Giannetta e il baritono Graziano De Pace in Don Marco.

Disomogenea nel colore e nella consistenza la voce del soprano Mizuki Date nel ruolo di Agata, che inoltre non ha curato a sufficienza la parte espressiva, così pure poco omogenea ed eccessivamente debole nel confronto con la massa sonora dell’orchestra, la voce del tenore Massimiliano Silvestri nelle vesti di Carlino.

Buona la prova del Coro Slovacco di Bratislava guidato da Pavol Prochazka. Tutto esaurito per le due rappresentazioni e successo decretato da un pubblico sempre più internazionale ma chiacchierone, in una serata fredda e notevolmente ventosa.

Visto a Martina Franca (TA), palazzo ducale, il 22 luglio 2008 Mirko Bertolini

 

Don Bucefalo
di Piero Gelli
(11:49 - 31 lug 2008)

tratto da : http://delteatro.it/articoli/2008-07/il-re-pastore-e-don-bucefalo.php
È sempre un piacere venire a Martina Franca per il Festival della valle d'Itria, non solo perché la cittadina è bellissima e la gentilezza di chi ci ospita squisita, ma perché si mettono in scena opere rare, spesso in prima esecuzione assoluta in tempi moderni, come quest'anno: Il re pastore di Niccolò Piccinni (Bari 1728 - Passy 1800), Don Bucefalo di Antonio Cagnoni (Pavia 1828 - Bergamo 1896) e Pelagio di Saverio Mercadante (Altamura 1795 - Napoli 1870). Ho visto le prime due. [ ...]
Il pubblico fedele, forse un po' tediato dai tono melanconici della musica di Piccinni e dalla lunghezza dell'opera, è stato ampiamente ricompensato dall'opera seconda in programma, di sfrenato godimento e divertimento. Si tratta del Don Bucefalo di Antonio Cagnoni.
Cagnoni oggi sconosciuto, nel suo secolo, l'Ottocento, era famoso e apprezzato; tra l'altro anche da Giuseppe Verdi. Questo melodramma giocoso, lui lo scrisse a diciannove anni, come saggio del suo cursus studiorum al Conservatorio di Milano nel 1847. Il successo fu clamoroso; e crebbe ancora e durò per tutta la vita del compositore e soprattutto del grande basso che nel ruolo di Don Bucefalo si specializzò in trovate e improvvisate, Alessandro Bottero.
Curiosamente, con la morte di entrambi, l'opera venne dimenticata, e ingiustamente, perché è piena di verve, di ritmo e di finezze espressive.
Certamente l'opera buffa rientra nel genere ben calibrato delle parodie metateatrali (la derivazione da Le cantatrici villane di Fioravanti è palese; e si ricordi Le convenienze e inconvenienze teatrali donizzettiane) e gli echi di Donizetti e dei concertati rossiniani risuonano negli orecchi, ma nulla tolgono al piacere dell'ascolto, anzi lo accrescono nella conferma di un talento artigiano di grande livello.
Si pensa, vedendo lo spettacolo, che cosa non sarebbe stato se l'avesse cantato un Sesto Bruscantini.
Perché tutto il gioco è nelle mani dell'arruffone maestro di cappella Don Bucefalo, qui interprato con successo da Filippo Morace; assecondato con grazia dal soprano Angelica Girardi.
La regia di Marco Gandini, bravissimo, ha con intelligenza e arguzia ambientato la vicenda nella Cinecittà degli anni Cinquanta: e a un certo momento il muro che taglia la scena per lungo si riempie di manifesti di celebri film peplo dell'epoca, da Fabiola a Quo Vadis.
Quanto alla partitura, non poteva trovare un migliore interprete del maestro Massimiliano Caldi, che l'ha diretta con tale spigliatezza, sottigliezza, brio e precisione, che mi chiedo per quale motivo egli, milanese di nascita e (credo) di residenza, non sia mai stato invitato alla Scala: Nemo propheta in Patria.

Rassegna stampa

Massimiliano Caldi ha diretto una prima esecuzione assoluta in tempi moderni del Don Bucefalo di Antonio Cagnoni al Festival della Valle d'Itria di Martina Franca.

Travolgente opera buffa di metà Ottocento, Don Bucefalo si inserisce nel ricco filone dei soggetti legati alla satira sul teatro in musica. Composto da un giovanissimo Antonio Cagnoni, aveva solo 19 anni, come saggio del suo cursus studiorum al Conservatorio di Milano nel 1847, il successo di quest'opera fu clamoroso e crebbe e durò per tutta la vita del compositore e del grande basso Alessandro Bottero che nel ruolo di Don Bucefalo si specializzò in trovate e improvvisate.

Don Bucefalo ode cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito; offre loro lezioni di canto, lusingandole con promesse di gloria. Giannetta, Agata e Rosa abboccano; quest'ultima si consola della presunta vedovanza da Carlino, con il conte di Belprato e con il vecchio Don Marco. Ma Carlino torna inaspettatamente e apprende degli intrighi amorosi. La vicenda si snoda quindi tra i battibecchi delle contadine, che si contendono il ruolo di prima donna, le peripezie dei loro amanti e le velleità artistiche di Bucefalo; il culmine giunge nel terzo atto, allorché il maestro di musica allestisce la sua nuova opera. Rosa ne è la prima donna ma, proprio al momento della sua entrata in scena, ecco comparire Carlino che reclama la moglie, creando lo scompiglio generale. Don Bucefalo si dispera per il fallimento della prova; Agata e Giannetta, invidiose di Rosa, esultano per la sua imminente punizione; il conte trema. Naturalmente tutto finisce per il meglio e Rosa si pente, giurando fedeltà al marito ritrovato.

Regia di Marco Gandini, che con intelligenza e arguzia ha ambientato la vicenda nella Cinecittà degli anni Cinquanta. Scene di Italo Grassi, costumi di Silvia Aymonino.

Interpreti Angelica Girardi (Rosa), Massimiliano Silvestri (Carlino), Filippo Morace (Don Bucefalo), Date Mizuki (Agata), Francesca De Giorgi (Gianetta), Graziano De Pace (Don Marco), Francesco Marsiglia (Il Conte di Belprato).
Coro Slovacco di Bratislava, Orchestra Internazionale d'Italia.


Dalla stampa:
«Prodotto di pregevole fattura musicale - nella sua moderna concezione di teatro nel teatro - il Don Bucefalo di Martina Franca si é avvantaggiato della limpida direzione d'orchestra di Massimiliano Caldi e dell'esilarante impianto visivo di Marco Gandini.»
(Classic Voice - settembre 2008 - Francesco Arturo Saponaro)

«Alla direzione vibrante e incisiva di Massimiliano Caldi si uniscono le virtù di spigliatezza e simpatia di un gruppo di giovani e validi interpreti in uno spettacolo divertente e arguto, accolto da meritate ovazioni.»
(Amadeus - ottobre 2008 - Gildo Salerno)

«In buca, Massimiliano Caldi coglie la palla al balzo: conduce l'operina con raffinato gusto. I tempi sempre giusti corrono ora veloci ed ora si allargano in delicate oasi liriche, con un'attenzione ben calcolata alle sfumature, ma anche alle naivité di un lavoro che del saggio finale conserva la freschezza.
Caldi accompagna con intelligenza i cantanti. Pur prestandosi alla commedia, non permette che lo stile comico si incrosti di caccole che, care forse al gusto ottocentesco, quando il Don Bucefalo era il cavallo di battaglia di noti buffi, oggi non sarebbero sopportabili.»
(L'Opera - settembre 2008 - Giancarlo Landini)

«E il prodigio consiste nella riscoperta del gioco assoluto rossiniano di là del binario morto di una ormai impossibile mera imitazione. A cominciare dalla squisita scrittura orchestrale, vero omaggio postumo ai procedimenti formali dei grandi del passato, intesi non come calchi ma come ideali ripensamenti. Ciò che benissimo ha compreso il direttore Massimiliano Caldi, un tipo da tener d'occhio: eleganza di fraseggio, finissima calibratura sonora di timbrica, vigile partecipazione a quella che sembra la qualità specifica di quella musica, la classica concisione di dettato.»
(sipario.it - 28 luglio 2008 - Giovanni Carlo Ballola)
(Il Mattino - 28 luglio 2008 - Giovanni Carlo Ballola)
(Espresso - 13 agosto 2008 - Giovanni Carlo Ballola)

«A dirigere con precisione l'Orchestra Internazionale d'Italia Massimiliano Caldi.»
(Taranto Sera - 21 luglio 2008 - Daniele Lo Cascio)

«(...) Don Bucefalo era incalzato dall'esuberante spettacolo di Marco Gandini ambientato nella Roma anni '50, nel clima del film in costume (la smaliziata scena é di Italo Grassi) e dalla direzione di Massimiliano Caldi, che ha spronato con garbo la giocosa compagnia di canto, tra cui spiccavano Filippo Morace e Angelica Girardi»
(La Repubblica - 21 luglio 2008 - Angelo Foletto)

«Esemplare poi l'accordo realizzato fra il direttore Massimiliano Caldi ed il regista Marco Gandini. Alla direzione fervida e dinamica di Caldi - capace fra l'altro di valorizzare in pieno la rimarchevole eleganza e raffinatezza della partitura, offrendo alle voci l'equilibrato supporto - ha fatto riscontro l'azione teatrale ...»
(La Gazzetta del Mezzogiorno - 22 luglio 2008 - Nicola Sbisà)

«Sempre sotto la direzione del brioso Massimiliano Caldi, a lungo applaudito dal pubblico con gli altri protagonisti»
(Corriere del Mezzogiorno - 22 luglio 2008 - Francesco Mazzotta)

«L'Orchestra Internazionale d'Italia, dopo "Re Pastore", l'opera seria dei giorni scorsi, é passata con grande professionalità all'opera buffa di Cagnoni, diretta con slancio ed eleganza dall'eccelente Massimiliano Caldi che ha conferito i giusti, agili ritmi e il necessario smalto a un’opera piacevolissima in ogni battuta. Perfetto l'aggancio orchestra e palcoscenico e armoniosa la fusione tra suoni e voci.»
(Corriere del Giorno - Taranto - 22 luglio 2008 - José Minervini)

«Ottima la direzione di Massimiliano Caldi sul podio dell'Orchestra Internazionale d'Italia (...)»
(Nuovo Quotidiano di Puglia - 22 luglio 2008 - Eraldo Martucci)
(nireo.it - 22 luglio 2008 - Eraldo Martucci)

«L'Orchestra Internazionale d'Italia é stata la vera protagonista del Festival sia nel "Re Pastore" sia nel "Don Bucefalo", vuoi per l'insolita bellezza del suono, vuoi per l'impeccabile precisione, qualità messe in risalto dai rispettivi direttori: nel primo caso Giovanni Battista Rigon, specialista del repertorio barocco e nel secondo caso Massimiliano Caldi, già apprezzato nella scorsa "Salomè&#quot;.»
(ilgallo.org - 25 luglio 2008 - Fernando Greco)

«A Martina Franca il Festival della Valle d’Itria ha fatto rivivere la sicurezza e la disinvoltura con cui il giovanissimo Cagnoni si inserisce nella grande tradizione comica italiana da Rossini a Donizetti, guardando soprattutto a quest’ultimo, giocando con garbo sui temi della vecchia satira dei compositori e su situazioni note, ma sempre risolte piacevolmente. Lo hanno fatto capire la sciolta e pertinente direzione di Massimiliano Caldi, la bella regia di Marco Gandini ...»
(L'Unità - 28 luglio 2008 - Paolo Petazzi)

«Sul podio della brillante Orchestra Internazionale d'Italia, il maestro Massimiliano Caldi é riuscito a governare lo spettacolo con abilità, valorizzando l'eleganza e la freschezza cantabile che vivono nella partitura, calcando l'accento della comprensibilità delle pagine dove maggiormente sono evidenti i richiami agli "evangelisti" dell'operismo italiano ottocentesco (Rossini, Bellini, Donizetti e il "primo" Verdi), garantendo una resa del contesto strumentale nitida corroborando il tutto con mordente vivacità ritmica.»
(operaclick.com - 22 luglio 2008 - Dino Foresio)

«(...) con il direttore Massimiliano Caldi in ottima forma.»
(giornaledellamusica.it - luglio 2008 - Fiorella Sassanelli)

«Quanto alla partitura non poteva trovare un miglior interprete del maestro Massimiliano Caldi, che l'ha diretta con tale spigliatezza, sottigliezza, brio e precisione, che mi chiedo per quale motivo egli, Milanese di nascita e residenza, non sia mai stato invitato alla Scala: Nemo propheta in Patria.»
(delteatro.it - 31 luglio 2008 - Piero Gelli)

«I virtuosismi belcantistici sono valorizzati da una buona compegnia di giovani interpreti, tra cui spiccano il soprano Angelica Girardi e il tenore Francesco Marsiglia, con il direttore Massimiliano Caldi in ottima forma.»
(giornaledellamusica.it - luglio 2008 - Fiorella Sassanelli)

«La partitura é stata resa con il giusto equilibrio dall'Orchestra Internazionale d'Italia, diretta egregiamente da Massimiliano Caldi.»
(teatro.org - luglio 2008 - Mirko Bertolini)

«Una partitura caleidoscopica resa con il giusto equilibrio dall'Orchestra Internazionale d'Italia, diretta con energia e grande perizia da Massimiliano Caldi.»
(cannibali.it - luglio 2008 - Enzo Garofalo)

 

Don Bucefalo di Cagnoni: spassosa ‘rivelazione’
al Festival della Valle d’Itria di Enzo Garofalo

Tratto da :http://www.cannibali.it/leggi.php?n=1&i=334&c=2

Si è presentata come una piacevole ventata di freschezza, nonostante la sua veneranda età (la prima esecuzione risale al 1847) l’opera “Don Bucefalo” del compositore lombardo Antonio Cagnoni, andata in scena il 20 luglio presso il Palazzo Ducale di Martina Franca nell’ambito del 34° Festival della Valle d’Itria, in prima esecuzione assoluta per i tempi moderni, nell’edizione critica di Anders Wiklund.

Melodramma giocoso in tre atti su libretto di Calisto Bassi ha la peculiarità di rappresentare il vero esordio da ‘enfant prodige’ di un Cagnoni appena diciannovenne. Entrato al Conservatorio di Milano a 14 anni avrebbe rivelato presto un grande talento musicale con particolari doti per il teatro, destinate a raggiungere l’apice in questo lavoro che doveva essere il saggio di fine anno e che invece lo fece improvvisamente ritrovare catapultato al centro di un successo europeo destinato a durare per decenni. Dall’iniziale gruppo di studenti e cantanti locali si sarebbe infatti presto passati ad affidarne l’esecuzione ad una compagnia di professionisti, tra i quali il basso comico Alessandro Bottero che, nel ruolo di Don Bucefalo, avrebbe unito il suo nome a quello di Cagnoni per un trentennio.

Don Bucefalo è un maestro di cappella borioso, che giunge a portare scompiglio in una comunità di contadini, dando vita a gags molto divertenti che oltre ad innegabili doti canore richiedono anche una notevole capacità interpretativa sul piano attoriale. Il maestro ode cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito al punto da proporre loro lezioni di canto, lusingandole con promesse di successo. Ad abboccare per prime Rosa, Giannetta e Agata. La prima in particolare, presunta vedova, tra un esercizio canoro e l’altro accetta la corte del conte di Belprato e di Don Marco. Ma il marito Carlino torna inaspettato e apprende degli intrighi amorosi. E’ così che tra battibecchi delle contadine, pronte a contendersi il ruolo di ‘prima donna’, le goffe schermaglie dei loro amanti ed i progetti artistici di Don Bucefalo, la vicenda giunge al culmine nel terzo atto, col maestro di musica pronto ad allestire la sua nuova opera. Rosa sarà la ‘prima donna’, ma ecco che proprio al momento della sua entrata in scena, riappare Carlino deciso a riprendersi la moglie, tra lo scompiglio generale. Don Bucefalo si trova di fronte al fallimento della prova dello spettacolo, mentre Agata e Giannetta, rivali di Rosa, gioiscono per la situazione imprevista ed il conte paventa le rappresaglie di Carlino. Ma tutto finisce per il meglio e Rosa pentita, giura fedeltà al ritrovato marito.

La trama, seguendo il modello del ‘teatro nel teatro’ riporta ad una diffusa tradizione volta a rappresentare il mondo del teatro lirico dell’epoca di cui mostra, a volte parodisticamente, le dinamiche creative e produttive. Ne viene fuori un’opera che è un vero e proprio tripudio di trovate musicali e drammaturgiche e, sebbene attinga alla tradizione più consolidata dell’opera buffa italiana facendone propri gli schemi, a partire dai ruoli vocali fino alla scrittura dei recitativi, riesce a rielaborarla alla luce della evoluzione del linguaggio musicale di quegli anni e di una fantasia quanto mai fervida, caratteristiche che da parte di molti critici fecero considerare Cagnoni il vero rivitalizzatore dell’opera comica. Molteplici dunque gli echi della tradizione (da Paisiello a Cimarosa, a Fioravanti – delle cui Cantatrici Villane Cagnoni parafrasa il libretto - a Rossini, a Donizetti) di cui il giovanissimo compositore dimostra una sorprendente padronanza, in un lavoro che se non è l’unico a collocarsi nel lasso di tempo intercorso tra il ‘Don Pasquale’ di Donizetti ed il ‘Falstaff’ di Verdi, fu quello che riuscì più di altri a dominare le scene per decenni. Purtroppo Don Bucefalo rimane l'unica punta di diamante della produzione di Cagnoni.

A colpire di quest’opera godibilissima, che ha buone premesse per un futuro rientro nei cartelloni dei teatri d'opera, sono soprattutto una capacità straordinaria di strumentazione, una scrittura vocale dagli esiti virtuosistici e brillanti, una felice capacità di amalgamare voci ed orchestra, una vena melodica accattivante ed un serrato andamento ritmico che non lascia spazio alla noia. Alcuni dei momenti più esilaranti dello spettacolo sono la ’lezione di canto’ che occupa gran parte del primo atto o, nel secondo atto, la fase in cui Don Bucefalo concepisce la partitura per la nuova opera di tema storico antico romano, allorchè prova a declamare i versi, tentando di costruire la frase musicale sulla musicalità e sul ritmo del testo per poi passare alla concertazione strumentale dell’orchestra. Un momento di grande felicità compositiva che fornisce all’interprete di Don Bucefalo l’occasione di mettere in campo tutte le sue doti di attore, essenziali per rendere al meglio tutta la scena. Per il resto l’opera è un piacevolissimo insieme di arie, ensembles, recitativi semplici o accompagnati e dialoghi parlati, in cui si manifesta con vigore la vena melodica e brillante di Cagnoni: una partitura caleidoscopica resa con il giusto equilibrio dall’Orchestra Internazionale d’Italia, diretta con energia e grande perizia dal M° Massimiliano Caldi.

Gli interpreti di questa prima edizione moderna di ‘Don Bucefalo’ hanno senz’altro contribuito nell’insieme alla riuscita dello spettacolo, sebbene il valore del cast fosse abbastanza disuguale. Dotato di indiscutibili doti interpretative e di un bel timbro vocale, il basso baritono Filippo Morace, nel ruolo di Don Bucefalo, è riuscito senza cedimenti a catturare l’attenzione e l'entusiasmo del pubblico, sebbene nelle note più gravi la voce tendesse ad annullarsi nel suono dell’orchestra. Scenicamente spigliata il soprano Angelica Girardi, nel ruolo di Rosa, ha vocalmente affrontato la prova, a tratti complessa, con sicurezza e precisione. Molto valida anche l’interpretazione del tenore Francesco Marsiglia, nel ruolo del Conte di Belprato, sciupafemmine impenitente, che ha cantato con voce squillante, elegante fraseggio e musicalità. Disomogenea nel colore e nella consistenza la voce del soprano Mizuki Date nel ruolo di Agata, che inoltre non ha curato a sufficienza la parte espressiva. Poco omogenea ed eccessivamente leggera nel confronto con la massa sonora dell’orchestra, la voce del tenore Massimiliano Silvestri, sebbene sia stato convincente dal punto di vista scenico. Buona la performance del mezzosoprano Francesca De Giorgi e del baritono Graziano De Pace, rispettivamente nel ruolo di una procace Giannetta e di un divertentissimo Don Marco. Ottimo il contributo del Coro Slovacco di Bratislava, a cui la partitura riserva un ruolo di primo piano e che è stato sapientemente guidato dal M° Pavol Prochazka.

Di grande dinamicità ed accuratezza la regia di Marco Gandini, puntata sulla centralità della ‘lezione di canto’, con via vai di leggii e spartiti, e sulla scorrevolezza di una comicità riletta in chiave di commedia all’italiana anni ’50 - periodo al quale si sono uniformati anche i bei costumi di Silvia Aymonino - fino alla scena finale dedicata alle prove dell’opera-kolossal, in un affascinante mix di palcoscenico e set cinematografico tipo Cinecittà. Perfettamente coerenti col resto le scene di Italo Grassi, consistenti in un lungo muro esterno, lungo il percorso Roma – Frascati, munito di insegne stradali d’epoca e che, attraverso dei moduli trasversali semoventi diventa volta a volta anche stanza, sala di lezione, set teatrale stracolmo di riflettori e manifesti d’epoca.
Entusiastici gli applausi del pubblico (con qualche isolato fischio su alcune uscite) che hanno richiamato più volte al proscenio tutti gli artisti.

[garofalo@aliamedia.it ]

"Il testamento di Figaro" è andata in scena il 26 febbraio 1848 a Milano (Teatro Re)
"Amori e trappole" è andata in scena il 27 aprile 1850 a Genova
"Il sindaco babbeo" venne rappresentata il 3 marzo 1851 a Milano (Teatro San Radegonda)
"La valle d'Andorra" è andata in scena il 7 giugno 1851 a Milano (Teatro della Cannobiana)
"Giralda" è andata in scena l'8 maggio 1852 a Milano (Teatro San Radegonda)
"La fioraia" è andata in scena il 24 novembre 1853 a Torino (Teatro Nazionale)
"La figlia di Don Liborio" venne rappresentata a Genova il 18 ottobre 1856
"Il vecchio della montagna, ossia L'Emiro" è andata in scena a Torino il 5 settembre 1860 (Teatro Carignano)
"Michele Perrin" venne rappresentata il 7 maggio 1864 a Milano (Teatro San Radegonda)
"Claudia" è andata in scena il 20 maggio 1866 a Milano (Teatro della Cannobiana)
"La tombola" venne rappresentata il 18 gennaio 1867 a Roma (Teatro Argentina)
"Gli amori di Cleopatra" è stata eseguita nel 1870
"Un capriccio di donna" è andata in scena il 10 marzo 1870 a Genova
"Papà Martin" (The Porter of Havre) è andata in scena a Genova il 4 marzo 1871
"Il duca di Tapigliano" venne rappresentata a Lecce il 10 ottobre 1874
"Francesca da Rimini" venne rappresentata il 19 febbraio 1878 a Torino (Teatro Regio)
"Il re Lear" è stata eseguita nel 1893.

RADIO3 SUITE - FESTIVAL DEI FESTIVAL
DOMENICA 19 LUGLIO 2009 ore 21.00
Martina Franca, Palazzo Ducale, 19 e 21 luglio 2009 ore 21,00
In diretta Euroradio
Palazzo Ducale di Martina Franca
35° FESTIVAL DELLA VALLE D'ITRIA
RE LEAR
Tragedia lirica in quattro atti e sette parti su libretto di Antonio Ghislanzoni
musica di Antonio Cagnoni
edizione critica a cura di Anders Wiklund
Prima esecuzione assoluta

PERSONAGGI-INTERPRETI
Cordelia: Serena Daolio
Re Lear: Costantino Finucci
Edgardo: Danilo Formaggia
Regana: Eufemia Tufano
Conte di Gloster: Vladimer Mebonia
Il Matto: Rasha Talaat
Gonerilla: Maria Leone
Il Duca di Cornovaglia: Omar Jokhadze
Il Conte di Kent: Domenico Colaianni
Edmondo: Cristian Camilo Navarro Diaz

Orchestra Internazionale d'Italia
Coro Slovacco di Bratislava
Direttore d'orchestra: Massimiliano Caldi
Regia: Francesco Esposito
Scene: Nicola Rubertelli
Costumi: Maria Carla Ricotti
Coreografie: Mario Piazza

RADIO TRE Il libretto è presente sul sito del FESTIVAL in formato .pdf
Edizione discografica

Re Lear

Etichetta Dynamic Prezzo € 29,90

 

35° FESTIVAL DELLA VALLE D’ITRIA
16 LUGLIO – 5 AGOSTO
PALAZZO DUCALE – MARTINA FRANCA

Prima rappresentazione mondiale
Secondo titolo d'opera in programma al Festival della Valle d'Itria, Re Lear, l'ultima opera musicata da Antonio Cagnoni (Godiasco, 8 agosto 1828 - Bergamo 30 aprile 1896). Compositore dai meriti molto maggiori di quanto riportino le storie della musica e tratta dalla tragedia in cinque atti, in versi e prosa, Re Lear scritta tra il 1605 ed il 1606 da William Shakespeare. Mettere in musica il Re Lear fu anche il sogno maturo che Verdi non riuscì a portare a termine. La storia trascritta dal celebre librettista Antonio Ghislanzoni nel 1885, fu composta dal Cagnoni nel 1893 ma non fu mai rappresentata vivente l'autore. Narra le gesta di Re Lear, leggendario sovrano della Britannia che, approssimandosi la vecchiaia, decide di dividere la Britannia fra le sue tre figlie e i mariti che egli avrebbe loro assegnati, pur mantenendo l'autorità regale. Il Re Lear è una novità assoluta: pur essendo di grande interesse nell'evoluzione del melodramma italiano della fine dell'Ottocento, ricco di influssi del tardo romanticismo europeo e del movimento della Scapigliatura, non aveva mai visto le scene a causa della morte del compositore subito dopo aver completato la partitura.

L'ultima opera musicata da Antonio Cagnoni (Godiasco, 8 agosto 1828 - Bergamo 30 aprile 1896) compositore dai meriti molto maggiori di quanto riportino le storie della musica e tratta dalla tragedia in cinque atti, in versi e prosa, "Re Lear" scritta tra il 1605 ed il 1606 da William Shakespeare. Mettere in musica il Re Lear fu anche il sogno maturo che Verdi non riuscì a portare a termine. L'opera di Cagnoni sarà presente nel cartellone del Festival della Valle D'Itria 2009 dopo il fortunato recupero nell'anno precedente del primo vero successo del compositore, Don Bucefalo. La storia trascritta dal celebre librettista Antonio Ghislanzoni nel 1885, fu composta dal Cagnoni nel 1893 ma non fu mai rappresentata vivente l'autore. Narra le gesta di Re Lear, leggendario sovrano della Britannia che, approssimandosi la vecchiaia, decide di dividere la Britannia fra le sue tre figlie e i mariti che egli avrebbe loro assegnati, pur mantenendo l'autorità regale. Il Re Lear è una novità assoluta: pur essendo di grande interesse nell'evoluzione del melodramma italiano della fine dell'Ottocento, ricco di influssi del tardo romanticismo europeo e del movimento della Scapigliatura, non aveva mai visto le scene a causa della morte del compositore subito dopo aver completato la partitura.

[Dicono di Antonio Cagnoni dal DEUMM, Ed.UTET]

Fu allievo dapprima di F.Moretti, poi, dal 1842 al 1847, al Conservatorio di Milano, di P.Ray e di F.Frasi. Dal 1856 al 1863 ottenne il posto di maestro di cappella a Vigevano. Nel 1873 si trasferì a Novara come direttore dell'istituto musicale di questa città sostituendo Coccia. Nel 1887, alla morte di Ponchielli, ebbe l'incarico di maestro di cappella a Bergamo in S.Maria Maggiore. Nello stuolo degli operisti minori italiani del secondo Ottocento, Cagnoni raggiunse notevole popolarità con due spartiti di genere giocoso, "Don Bucefalo" e "Papà Martin", mentre il resto della sua produzione non oltrepassò favori momentanei e successi di stima. Musicista fornito di un solido mestiere artigianale (come era d'obbligo a quel tempo), Cagnoni condivide tutti i limiti dei suoi colleghi: creatività occasionale, scarse o nulle motivazioni culturali (col rischio di restar schiacciati da soggetti troppo inpegnativi: si veda la "Francesca da Rimini"), assoluta superficialità nel rapporto col testo. Per questo motivi il musicista riuscì sufficientemente in lavori leggeri dove le possibilità comiche, grottesche, caricaturali sopravanzavano di gran lunga l'esigenza drammaturgica permettendo l'impiego (ancora gradito al pubblico) di un linguaggio fra rossiniano e donizettiano, con agganci fraquenti alla tradizione napoletana. Nel "Don Bucefalo" la goffa figura del protagonista, un maestro di cappella borioso e spiantato, gli consente di utilizzare una quantità di gags musicali non certo nuove, ma comunque spassose se affidate ad un buon attore. In "Papà Martin", commediola comico-sentimentale, la mano del musicista si fa più morbida, la materia meno scontata: sono tuttavia, pregi troppo generici per consentire a questi ed a molti altri spartiti coevi una esistenza meno che effimera.

Martina Franca, Palazzo Ducale, Info. 080.4805 100
http://www.festivaldellavalleditria.it

RE LEAR di Antonio Cagnoni

Tratto da : Vedi ...
Chi l’ha detto che il Re Lear di Shakespeare sia un’opera irrappresentabile? Il Festival della Valle d’Itria, che ama le sfide, tenta l’impresa. Domenica 19 luglio 2009, ore 21, a Palazzo Ducale, ci sarà la prima rappresentazione mondiale di Re Lear, l’ultima opera musicata da Antonio Cagnoni, che dopo lo strepitoso successo dello scorso anno con Don Bucefalo, torna al Festival martinese. Re Lear è l’appuntamento centrale di questa 35^ edizione, realizzato in collaborazione con la Fondazione Petruzzelli di Bari. Il direttore è Massimiliano Caldi, la regia di Francesco Esposito.

Si tratta di una tragedia lirica in quattro atti e sette parti nata, nel 1893, dal lavoro di sinergia tra il compositore lombardo ed il celebre librettista Antonio Ghislanzoni. La fonte letteraria è il King Lear, uno dei lavori più apprezzati di William Shakespeare. L’opera che tutti i compositori dell’Ottocento avrebbero voluto realizzare. L’opera che il grande Verdi non riuscì a terminare e che neppure Cagnoni ebbe la fortuna di vedere rappresentata.

Dopo l’applauso unanime riscosso dal dramma Orfeo ed Euridice di Gluck, il Festival martinese prosegue con una delle tragedie per eccellenza. L’intricata trama shakespeariana viene raccontata con semplicità dal regista Francesco Esposito, alla sua quarta edizione a Martina: “Il vecchio Re Lear, deciso ad abdicare e delegare il potere alle sue figlie e ai loro mariti, spartisce tra questi il suo regno con un atto solenne. A questo scopo viene tenuto il rituale del Love Test: pubblicamente il Re chiede alle figlie quanto sia grande il loro amore per lui. Le prime due rispondono come previsto dal rituale, cioè con un atto di sottomissione completo, mentre la terza, Cordelia, si ribella a questa liturgia, che le appare vuota e inutile. Il Re, di fronte al grave attentato alla sua regalità e al sistema stesso su cui poggia il suo potere, disereda la figlia prediletta. Inizia così per il vecchio sovrano un percorso di solitudine e di follia che, dopo il tradimento delle figlie ubbidienti, riporterà Re Lear tra le braccia di chi veramente lo ha amato”, ossia proprio Cordelia. Ma la riconciliazione non durerà a lungo, perché Cordelia verrà ben presto uccisa “dalla fame di potere”.

Strazio ed emozioni complesse condensate da Shakespeare in quest’opera semplificata da Ghislanzoni e dallo stesso Cagnoni, che si riconferma con il suo splendido stile, all’insegna della bella melodia e rispettoso della tradizione musicale antica. Il compositore lombardo, in netta controtendenza con il gusto del suo tempo, si lascia ispirare da grandi scrittori come Shakespeare, componendo musiche “fluide”, dalle forme chiare e immediate e con il coro, che introduce e commenta i momenti cruciali dell’azione.

Il travestimento nel secondo appuntamento dell’edizione dei travestimenti è quello del Matto, colui che non ha paura di dire la verità, il giullare che seguirà fedelmente Re Lear fino alla fine e che verrà perseguitato dal potere a causa dei suoi interventi irriverenti.

A Martina Franca, domenica 19 luglio, il Festival della Valle d’Itria restituirà finalmente ad un pezzo di storia la sua meritata immortalità.

Gli interpreti saranno: Costantino Finucci (Re Lear), Serena Daolio (Cordelia), Eufemia Tufano (Regana), Rasha Talaat (il Matto), Danilo Formaggia (Edgaro), Mebonia Vladimer (Conte di Gloster), Leone Maria (Gonerilla), Coletta Gianni (Duca di Cornovaglia), Domenico Colaianni (Conte di Kent), Cristian Camilo Navarro Diaz (Edmondo), il Coro Slovacco di Bratislava, l’Orchestra Internazionale d’Italia. Direttore Massimiliano Caldi, regista Francesco Esposito. Coreografie di Domenico Iannone, scene di Nicola Rubertelli, costumi di Maria Carla Ricotti.

by Anders Wiklund (Anders Wiklund ha realizzato la partitura che è stata utilizzata per la rappresentazione di  Re Lear nel 2009 al  Festival della Valle d’Itria) Donizetti Society Londra
Newsletter 108, October 2009, pp.4-5
Traduzione italiana a cura di Mario Mainino
(membro della Donizetti Society sino al 1998)

Dopo avere avuto la Casa Ricordi, Milano come suo principale editore per molti anni, Antonio Cagnoni nel 1866 si rivolse ad una casa editrice appena fondata a Torino la Casa Editrice Giudici e Strada. L'azienda nacque nel 1859 da Giovanni Battista Giudici e Achille Strada. Per più di trenta anni questa impresa sarebbe stata la più importante di tutti gli editori musicali torinesi. Dopo la morte di Strada (nel 1880) e Giudici (1886) l'impresa passa ad Achille jr Strada, che scelse come partner Ignazio Cazzini, per un breve periodo, e poi la casa editrice milanese Arturo Demarchi, guidando l'azienda da solo fino alla sua morte nel 1899, quando Paolo Mariani, prese il sopravvento.
Come aveva acquisito la società di Achille Tedeschi a Bologna, la casa prese il nome imponente di "Riuniti Stabilimenti Musicali Giudici e Strada, A. Demarchi, A. Tedeschi" di P. Mariani fu Claro. Aveva sede in entrambe le città di Milano e Bologna e quando fu costituita a Milano nel 1909 una Società Anonima il numero di titoli in catalogo era salito a circa 22.000. Tra i compositori originariamente pubblicati dalla casa editrice sono, ad esempio F. von Flotow (La fleur de Harlem [in italiano Il Fiore di Harlem]), A.Ponchielli (I Mori di Valenza), Lauro Rossi (Cleopatra) e molti altri.
Durante la prima guerra mondiale l'azienda fallisce e causa di problemi di credito e viene rilevata da Luigi Stoppa nel 1920, che chiude l'attività nel 1930. La procedura finanziaria della chiusura è stata effettuata da Banca Cattolica di S. Antonio di Piacenza, che si rivolse al Bibliotecario di quello che oggi è il Conservatorio "Nicolini" di Piacenza per aiuto, così la biblioteca del Conservatorio "Nicolini" di Piacenza ha ricevuto l'intero archivio musicale della ex Giudici & Strada de da allora vi è li ospitato.
Ma tornando al Cagnoni, che ha passato alla nuova casa editrice musicale pubblicare la sua opera "Claudia" nel 1866, la loro collaborazione proseguì, nel 1878 per Francesca da Rimini così come nel 1884 per la Messa funebre per 4 Voci e orchestra, che sono stati pubblicati dalla ditta torinese. Gli autografi di questi pezzi sono ora reperibili nella biblioteca del Conservatorio di Piacenza.
Nel 1880 Cagnoni rivolse il suo interesse a Re Lear di W.Shakespeare. [..] E' ben noto come Verdi trascorse molti dei suoi anni creativi cercando di trovare un libretto abbastanza buono per un Re Lear.
Quindi è più che intrigante che Cagnoni fosse poi il compositore che Verdi scelse per scrivere il "Quid sum miser" nella Messa (a più mani) in morte di Gioachino Rossini del 1869, e che Antonio Ghislanzoni, librettista di Verdi per Aida, è stato quello che scrisse il libretto per Lear di Cagnoni.
Dai registri della casa editrice si apprende che i diritti di Re Lear erano nelle loro mani nel 1888 (Arena)[1], ma alla morte di Cagnoni il 30 settembre 1896, l'opera non aveva ancora avuto la sua prima.
Quattro anni dopo la morte del compositore Giudici & Strada pubblicò la partitura vocale. Nonostante ciò ci sono due lettere scritte da Cagnoni al M ° Pietro Sormani, Direttore sostituto di Toscanini e a Campanini al Teatro alla Scala che aveva chiesto dettagli sulla opera [2]. Dalla risposta di Cagnoni è evidente che qualche trattativa era andata avanti con la Scala per la messa in scena Re Lear: c'erano suggerimenti su quale parte della stagione sarebbe la più favorevole e che Il Matto potrebbe essere considerato come un tenore Secondo. Le lettere sono da febbraio 1895 e un anno prima della morte di Cagnoni, nulla è successo e l'interesse della Scala finì in nulla.
Il materiale di Re Lear nella biblioteca del Conservatorio di Piacenza consiste nella partitura autografa in quattro volumi, uno per ogni atto, in parte autografo e una partitura vocale - le linee vocali scritte da un copista mentre Cagnoni scrive la parte del pianoforte. Inoltre vi è una serie completa di parti orchestrali (tranne che per la banda di cui solo una "guida" è disponibile) tutte scritte a mano. Nell'esaminare queste parti ci si rende conto che non sono mai state utilizzate, quando li si apre il crepitio delle pagine appiccicate è un'eco del passato.
Le pagine sono bianche, senza la solita ombra giallastra. Nemmeno un singolo segno di matita degli strumentisti. In altre parole: materiale completamente vergine, raro da vedere. C'è anche un copia partitura in quattro volumi con poche correzioni del copista (che ha anche inserito le relative rettifiche corrispondenti all'autografo come Cagnoni stesso aveva apportato quando ha preparato lo spartito vocale!). Non vi è traccia di un libretto stampato e né alcuna menzione di qualsiasi testo stampato in Caselli [3].
E 'interessante osservare Re Lear confrontandolo con l'ambiente musicale in cui l'anziano compositore viveva. Negli anni 1880-90 il mondo dell'opera italiana aveva sicuramente subito dei cambiamenti e influenze che chiusero per sempre l'epoca d'oro del Primo Ottocento, sia Wagner che l'opera francese erano entrati nei teatri lirici italiani e, naturalmente, una nuova generazione di compositori italiani era arrivata sulla scena: Puccini, Mascagni, Zandonai, Montemezzi, ecc.
Cagnoni era nato nel 1828, quando ancora l'opera era scritta con forme che forse erano prevedibili, ma permettevano anche ai compositori di allargare i confini di espressione musicale e drammatica. Cagnoni portava in sé sia la forza che la debolezza del Teatro dell'Opera a numeri chiusi, ora però privata del suo recitativi.
Come possiamo vedere dall'elenco che segue dei numeri in Re Lear, è ovvio che Cagnoni potesse gestire il vecchio formato a numeri chiusi, trasformandolo in una sequenza veramente personale:


ATTO PRIMO
n.1 Introduzione
ATTO SECONDO
n.2 Scena ed Aria (Edgardo)
n.3 Scena e Duetto (Cordelia, Edgardo)
n.4 Finale 2°
ATTO TERZO
n.5 Preludio, Scena e Romanza (Edgardo)
n.6 Coro e Tempesta
n.7 Scena e Quartette (Matt, Edgardo, Lear, Gloster)
n.8 Coro, Scena e Duetto (Cordelia, Lear)
ATTO QUARTO
n.9 Scena ed Aria (Regana)
n.10 Scena ed Duetto (Regana, Edgardo)
n.11 Coro e Ballabile
n.12 Scena e Finale ultimo


L'equilibrio dell'opera è evidente, il n.1 e il n.12 creano le delimitazioni esterne, gli Atti 2 e 4 formano la cornice per la parte centrale dell'Atto 3 con i quattro numeri.
Una forma che riflette anche la portata drammatica dello stesso gioco con un forte atto terzo centrale. Cagnoni li creò con una musica che ha il suo punto di partenza nel passato, nel 1840, con l'eleganza drammatica di Donizetti e il forte accento drammatico di Verdi, legata all'attuale cromatismo wagneriano, una miscela della sottile armonia francese di un Gounod e un Massenet e tratti del verismo e del sentimento pucciniano.
A pieno titolo, Re Lear diventa così il "Canto del Cigno" dell'Opera italiana del 19° secolo!

[1] S..Arena: L'archivio delta casa editrice Giudici & Strada presso il Conservatorio "Nicolini" di Piacenza. Fonti Musicale Italiane, 5, 2000, pp. 249-269
[2] Sono grato a Alexander Weatherson che mi ha fatto notare l'esistenza di queste lettere nel Gallini Catalogues dal 2001 e 2003.
[3] Caselli, A.: Catalogo delle opere liriche pubblicate in Italia, Olschki Ed., Firenze, 1969

Tratto da http://www.donizettisociety.com/Newsletters/articlenews108.htm


La Biblioteca conserva la Raccolta Antonio Cagnoni (Godiasco, Pavia, 1818 - Bergamo 1896), musicista e direttore della Cappella musicale di Santa Maria Maggiore di Bergamo. La raccolta, giunta in Biblioteca nei primi anni di questo secolo, comprende soprattutto manoscritti musicali, diplomi, attestazioni di merito e lettere. Corrispondenza Antonio Cagnoni Sono raccolte in due volumi di "Diplomi e corrispondenza diversa" (MMB 352-353) 204 lettere e due post mortem (1858-1892) relative all'attività musicale, a rapporti con editori e a incarichi professionali.


Antonio Cagnoni - libretti


Invito all'Opera Antonio Cagnoni di Maurizio Giarda Cagnoni fu uno dei più interessanti operisti di metà 800. Nacque a Godiasco (Pavia) nel 1828, studiò a Milano con Lauro Rossi e a 18 anni scrisse due opere “I DUE SAVOIARDI” e “ROSALIA DI SAN MINIATO”, e nel 1847 con “DON BUCEFALO” colse un vero trionfo e resterà la sua opera più popolare: è una commediola ambientata nel mondo dell’opera, si prova una nuova opera e il compositore Bucefalo è innamorato della prima cantante, Rosa, che però ama un giovane tenore; dopo una girandola di colpi di scena Bucefalo si deve arrendere. Si sentono echi di Donizetti nella musica, tra le pagine più valide l’aria di Rosa, “colui che mi dice”, la lezione di canto di Bucefalo a Rosa, la canzone popolare dei contadini “sorgi o notte amica”, il duetto Rosa-Carlino. Continua col genere comico scrivendo “AMORI E TRAPPOLE”, “IL TESTAMENTO DI FIGARO”, “LA FIORAIA”, tipiche commedie ilari, sentimentali: con “LA VALLE D’ANDORRA” tenta il genere semiserio mostrando una notevole tecnica strumentale, e con “CLAUDIA” del 1866 tenta il genere drammatico con buoni risultati. Nel 1870 ha un altro grande successo con “PAPÀ MARTIN”, di tono sentimentale, patetico. Altre opere di rilievo sono “IL VECCHIO DELLA MONTAGNA” e “MICHELE PERRIN”, commedia sociale che porta sulla scena i problemi del lavoro, il proletariato milanese, il vano tentativo di un giovane di campagna di lasciare la campagna e inserirsi nel mondo milanese. Dopo il 1870 nell’opera italiana avvengono grandi mutamenti e nuovi orientamenti, arrivano le opere di Wagner, Carmen, Boito, col “MEFISTOFELE”, tenta un opera filosofica, si trattano grandi temi spirituali, metafisici; anche Cagnoni tenta di aggiornarsi, del 1874 è “UN CAPRICCIO DI DONNA” che si svolge a Parigi nel 700, del 1878 “FRANCESCA DA RIMINI”, la sua opera più impegnativa, il tentativo di superare schemi convenzionali. Di particolare rilievo drammatico il finale con l’uccisione di Paolo e Francesca, notevole anche la caratterizzazione ambientale medievale. Si sente un influsso di Wagner nella strumentazione e accenti preveristi. Muore nel 1896.

tratto da Invito all'Opera Antonio Cagnoni di Maurizio Giarda reperibile all'indirizzo :
http://www.primonumero.it/musica/classica.php?id=181


Elenco delle opere rappresentate di Antonio Cagnoni
Tratto dalla Gazzetta musicale di Milano 1896

N. Anno Mese/gg Città Teatro Titolo Genere Poeta

1

1845

28-feb

Milano Conservatorio di Musica Rosalia di S.Miniato semiserio Bassi

2

1846

15-giu

Milano Conservatorio di Musica I due Savoiardi semiserio Tarantini

3

1847

28-giu

Milano Conservatorio di Musica Don Bucefalo buffo Bassi

4

1848

26-feb

Milano Re Il testamento di Figaro buffo Bassi

5

1850

17-apr

Genova Carlo Felice Amori e trappole buffo Romani

6

1851

07-giu

Milano Canobbiana La Valle d'Andorra semiserio Giacchetti

7

1852

08-mag

Milano S.Radegonda Giralda semiserio Giacchetti

8

1853

24-nov

Torino Nazionale La Fioraia buffo Giacchetti

9

1856

18-ott

Genova carlo Felice Le figlie di Don Liborio buffo Guidi

10

1860

07-set

Torino Carignano Il vecchio della montagna serio Guidi

11

1864

12-mag

Milano Filodrammatici Michele Perrin buffo Marcello

12

1866

20-mag

Milano Canobbiana Claudia serio Marcello

13

1868

18-gen

Roma Argentina La Tombola buffo Piave

14

1870

10-mar

Genova Carlo Felice Un capriccio di donna serio Ghislanzoni

15

1871

04-mar

Genova Nazionale Papà Martin buffo Ghislanzoni

16

1874

10-ott

Lecco Sociale Il Duca di Tapigliano buffo Ghislanzoni

17

1878

19-feb

Torino Regio Francesca da Rimini serio Ghislanzoni

Antonio Cagnoni - libretti


 
 
 
 
 
 
 

 

 

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Aggiornamento del 20/08/2010

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