|
Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea (1866-1950)
libretto di Arturo Colautti, dalla commedia di Eugène Scribe e
Ernest-Wilfrid Legouvé
Opera in quattro atti
Prima: Milano, Teatro Lirico, 6 novembre 1902
Personaggi:
Adriana Lecouvreur, della Comédie Française (S); Maurizio, conte di
Sassonia (T); il principe di Bouillon (B); la principessa di Bouillon (Ms);
Michonnet, direttore di scena alla Comédie Française (Bar); l’abate di
Chazeuil (T); Mlle Jouvenot, Mlle Dangeville, Poisson, Quinault, soci
della Comédie Française (S, Ms, T, B); un maggiordomo (T); dame, signori,
servi di scena, valletti. Balletto: Paride, pastorello frigio; Mercurio,
messaggero di Giove; Giunone, dea della Serenità; Pallade, dea della Forza
e della Saggezza; Venere, dea della Bellezza; Iridi, amazzoni, Cariti,
amorini
Adriana
Lecouvreur nacque grazie all’intraprendenza di Edoardo Sonzogno,
l’instancabile editore della ‘Giovane Scuola’. Affidando a Cilea la storia
della celebre attrice ammirata da Voltaire, amata dal conte Maurizio di
Sassonia e morta prematuramente (avvelenata, si disse, da una rivale),
Sonzogno sperava di ripetere il successo dell’ Arlesiana (1897). Per il
libretto si ricorse ad Arturo Colautti, che aveva appena dato a Giordano
il personaggio di Fedora (1898), e per la vicenda ci si ispirò a una
commedia di Scribe e Legouvé, dove i protagonisti non sono che una pallida
eco delle figure reali e l’intrigante e privo di scrupoli Maurice diventa
un romantico uomo d’onore. Colautti fu abile nel costruire un testo adatto
alle caratteristiche di Cilea, offrendo spunti sia alla sua vena
lirico-elegiaca sia al suo gusto per il divertissement settecentesco. Alla
prima rappresentazione, con un cast che comprendeva Enrico Caruso
(Maurizio), Angelica Pandolfini (Adriana) e Giuseppe De Luca (Michonnet),
l’opera ebbe l’accoglienza che l’editore si aspettava. Ultimo lavoro
importante del compositore calabrese – che di lì a pochi anni abbandonò il
melodramma a causa del temperamento schivo, del perfezionismo maniacale e
della riluttanza a esperire nuove strade musicali di cui pure sentiva la
necessità – Adriana Lecouvreur è entrata a far parte del repertorio
internazionale e oggi compare spesso nei cartelloni teatrali.
Atto primo . Parigi, 1730. Nel foyer della Comédie Française gli
attori si preparano ad andare in scena. La Jouvenot, in vesti orientali,
dà gli ultimi tocchi all’acconciatura mentre la Dangeville, adagiata su un
canapé, è già diventata la civettuola Lisetta di Follie d’amore . Vicino a
un caminetto, sormontato dal busto di Molière, Quinault sta indossando un
sontuoso turbante; a un tavolo da gioco, in costume da Crispino, Poisson
controlla il trucco in uno specchio. Confuso tra comparse, macchinisti e
servi di scena, Michonnet si sposta trafelato dall’uno all’altro attore,
esaudendo ogni capriccio. Nel trambusto non passa però inosservato
l’ingresso del principe di Bouillon, «il mecenate della Duclos»,
accompagnato dall’abate Chazeuil, «il ninnolo della moglie», generosi di
galanterie. Intanto, da una porta laterale, con il copione tra le mani,
appare la Lecouvreur negli abiti orientali della Rossana del Bajazet :
«splendida, portentosa, musa, diva, sirena» esclamano gli uomini. Le donne
voltano dispettosamente le spalle. Lei, con sprezzatura da primadonna, si
schermisce (“Io son l’umile ancella”) e si apparta con Michonnet, che
tenta invano di rivelarle il suo amore. Adriana è distratta da ben altri
pensieri: la recita che l’aspetta e un «semplice alfiere», appena
ritornato dalla guerra, sotto cui si cela il conte Maurizio di Sassonia.
Inaspettatamente il giovane raggiunge Adriana nel foyer e con una
dichiarazione appassionata (“La dolcissima effigie”) ottiene un
appuntamento al termine della rappresentazione. In pegno l’attrice gli
dona le violette che ha appuntato sul seno. Ma dietro le quinte si tessono
trame diverse. Intercettato un biglietto della Duclos con un invito a
Maurizio per la serata, il principe decide di smascherare l’amante
organizzando una festa nel villino di sua proprietà scelto per il
convegno. Ignora che non la sua protetta ma sua moglie ha scritto al conte
di Sassonia, sempre pronto a rispondere ai richiami della principessa per
nobili ragioni di Stato. Così dopo lo spettacolo, dove Adriana trionfa
nonostante il dolore per l’improvviso diniego di Maurizio, tutti si
dirigono al ricevimento, ciascuno seguendo i propri percorsi.
Atto secondo . Il ‘nido’ della Duclos alla Grange Batelière. Seduta
a un tavolino, nel chiarore lunare che dalla Senna attraversa il giardino
e si diffonde nel salotto, la principessa di Bouillon aspetta trepidante
il conte Maurizio (“Acerba voluttà”), che si presenta in ritardo e con
violette profumate tra i bottoni. Soltanto l’offerta del mazzetto convince
la scomoda amante a mettere da parte i sospetti per concentrarsi sulle
questioni importanti. Le notizie sono negative: nemici potenti contrastano
l’ascesa del conte al trono di Polonia e vogliono l’arresto del
pretendente. Maurizio progetta di fuggire, la donna, gelosa, lo trattiene.
Il giovane implora comprensione (“L’anima ho stanca”) ma, a rendere più
difficile il distacco, arriva inaspettato il principe, convinto di avere
colto in flagrante la Duclos. Fortunatamente la principessa riesce a
nascondersi e l’imbarazzo si spegne in una complice stretta di mano tra i
due uomini. Intanto, mentre Chazeuil dispone per la cena, Adriana
incontra, felicemente sorpresa, il suo alfiere, che le si mostra nella
vera identità. I due si scambiano nuove promesse d’amore, di brevissima
durata. Il maligno abate rivela alla Lecouvreur l’esistenza di un’altra
donna, lasciandole intendere che si tratta della rivale Duclos. Maurizio
non ha bisogno di fare appello ad arti seduttorie per convincere Adriana
della propria buonafede: la donna desidera a tal punto credergli che si
offre di aiutarlo. E sarà lei, in incognito, a liberare dal nascondiglio
l’«amante per politico disegno», favorendone la fuga attraverso il
giardino. L’incauta principessa perde però un braccialetto, che finisce
fatalmente nelle mani di Adriana.
Atto terzo . La galleria dei ricevimenti al palazzo di Bouillon.
Alle pareti specchiere e grandi ritratti, nel centro un palcoscenico con
il sipario abbassato. Mentre i valletti completano i preparativi per una
nuova festa, la principessa di Bouillon, in abito da gran gala, si aggira
per la sala inquieta. La sua ignota salvatrice si è trasformata nel suo
tormento: chi sarà? Maurizio l’amerà come lei dice? Nemmeno le facezie
dell’abate riescono a placare la sua ansia e quando la Lecouvreur, ospite
d’onore della serata, fa il suo ingresso in sala, la principessa ha un
cattivo presentimento. Senza esitare, gli occhi fissi su Adriana, racconta
di un duello in cui Maurizio sarebbe stato ferito e le sue illazioni
trovano conferma. L’attrice scolora, perde le forze, ma poco dopo, vedendo
l’ignaro e sorridente Maurizio, è a sua volta assalita dai dubbi: la
principessa è forse la fuggitiva? Su richiesta dei presenti, il conte è
costretto a esibire le sue prodezze militari (“Il russo Mencikoff”) prima
che il principe annunci il balletto: un ‘Giudizio di Paride’ corredato di
dee e di amorini, di ninfe e di pastori frigi con consegna rituale della
mela alla padrona di casa. Alle squisitezze mitologiche gli invitati
sembrano però preferire i segreti dell’alcova: a chi erano destinate le
violette? Di chi è il bracciale trovato in giardino? Ingenuamente, Adriana
e la principessa alimentano i pettegolezzi, la prima declamando un
monologo di Fedra in cui si accusano «le audacissime impure, cui gioia è
tradir», la seconda raccogliendo la provocazione e giurando, in cuor suo,
vendetta.
Atto quarto . Un salottino di casa Lecouvreur al tramonto di un
giorno di marzo. Michonnet, amico fedele, è venuto a trovare Adriana.
Incapace di reggere agli intrighi e ai tradimenti, delusa e sfiduciata,
l’attrice ha deciso di abbandonare le scene e passa il tempo a letto,
avvolta da una cupezza che nessuno riesce a rischiarare. Una sola medicina
potrebbe guarirla: Maurizio. Per questo Michonnet, vincendo le proprie
resistenze, lo manda a chiamare. Anche i soci della Comédie non si
rassegnano a perdere la loro primadonna e irrompono in casa sua festosi e
carichi di doni. A poco a poco Adriana si lascia contagiare dall’allegria
dei colleghi e promette che tornerà a recitare. All’esultanza degli amici
si unisce anche la cameriera, che porta alla Lecouvreur un cofanetto di
velluto cremisi appena recapitato. Il biglietto che lo accompagna è del
conte di Sassonia. Nascondendo l’emozione, l’attrice distrae gli amici e
si precipita verso il regalo: lo scruta, lo apre e d’improvviso, colta da
malore, vacilla. Michonnet, che le è rimasto vicino, la soccorre e crede
di capire: nella scatola, restituite al mittente, ci sono le violette.
Adriana si dispera (“Poveri fiori”), ne annusa a lungo il profumo, poi le
getta con rabbia nel caminetto. Intanto Maurizio, che non ha inviato alcun
cofanetto ma ha subito risposto all’appello di Michonnet, entra nella
stanza. È evidente che Adriana soffre. Lui le chiede perdono, la prega di
sposarlo, si abbracciano. Ma la fine che li aspetta è diversa da quella
che per un attimo hanno sognato. Il volto terreo, le pupille sbarrate, il
corpo percorso da tremori, Adriana comincia a vaneggiare e poco dopo muore
tra le braccia di Maurizio, vinta da quelle violette che qualcuno, forse
la principessa di Bouillon, aveva avvelenato.
La macchinosità del libretto, retaggio dell’aggrovigliato intreccio di
Scribe e Legouvé, e le incongruenze della trama (dovute a tagli incauti,
quali, dalla prima versione, l’utile accenno a una polvere letale nota
alla principessa e, dalla seconda, riferimenti chiarificatori ai gioielli
della regina menzionati nel quarto atto), non hanno impedito a Cilea di
fare di Adriana Lecouvreur un’opera compiuta, apprezzabile per finezza di
invenzione melodica e per eleganza di scrittura orchestrale.
Distinguendosi dalle consuetudini del verismo, nel cui alveo è stata
spesso ricondotta, la partitura si astiene dall’enfasi anche nei momenti
più drammatici della vicenda, ad esempio nella lunga sequenza finale,
stilisticamente accostabile alle ‘scene di pazzia’ della tradizione
operistica italiana. Meno convincente risulta invece la ripetizione dei
temi (tra i più ricorrenti quelli ‘di Adriana’, ‘della Duclos’, ‘di
Michonnet’, ‘delle violette’ e ‘dell’amore’), efficaci al loro apparire ma
non adeguatamente elaborati per sostenere le numerose riprese cui vengono
sottoposti. La figura della protagonista e il pathos delicato che Cilea le
ha donato hanno sempre attratto numerose primedonne della lirica, da
Mafalda Favero a Maria Caniglia, da Magda Olivero a Renata Tebaldi, da
Renata Scotto a Raina Kabaivanska. |