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24/10/2002 Pag. 41

Domenica e martedì al Teatro Fraschini
Il centenario dell'"Adriana"
Parte la stagione lirica
 

Eccoci al nastro di partenza per la stagione lirica 2002/2003 che il Teatro Fraschini organizza in collaborazione con il Circuito Lirico Lombardo, As.Li.Co. Con la prima rappresentazione di Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, domenica 27 ottobre alle 15.30 e in replica martedì 29 alle 20.30, parte una stagione che comprende cinque titoli di grandissimo interesse, con opere del grande repertorio come Adriana e Rigoletto ma anche con straordinari capolavori come Ballo in maschera e Italiana in Algeri o splendide perle come I Racconti di Hoffmann meno rappresentati forse, ma anche perché è più difficile trovare interpreti di valore in grado di sostenerle. Il monologo di Adriana, il suo "Io son l'umile ancella" è il manifesto dell'mestiere di attore, esprime la duttilità e l'umiltà dell'interprete di fronte all'opera d'arte che è chiamato ad interpretare. Adriana è l'unico lavoro di Francesco Cilea rimasto stabilmente in repertorio ed è giudicato il suo capolavoro, scritto su libretto di Arturo Colautti e tratto dalla commedia di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé, narra di un personaggio veramente esistito e che fu una grande attrice Comédie Française, tra i personaggi appare Quinault in persona. Quest'opera in quattro atti andò in scena il 6 novembre 1902 al Teatro Lirico di Milano e riscosse un buon successo, celebra nel 2002 i sui cento anni di vita. La figura della protagonista e il pathos delicato che Cilea le ha donato hanno sempre attratto numerose primedonne della lirica, da Mafalda Favero a Maria Caniglia, da Magda Olivero a Renata Tebaldi, da Renata Scotto a Raina Kabaivanska. La trama è costruita su di un tragico intreccio di amori e presto detta: Adriana ama Maurizio ma ne teme l'abbandono, Michonet ama Adriana ma si sente troppo vecchio per lei e non osa dirglielo, la Boulion desidera visceralmente Maurizio e non sopporta che questi possa ricambiare Adriana in alcun modo, invia ad Adriana un mazzetto di violette avvelenate con il quale riesce ad eliminare la rivale. Protagonista nell'edizione pavese sarà il soprano Amarilli Nizza, al suo fianco nel ruolo di Maurizio, conte di Sassonia il giovane ed interessante tenore Cesare Cattani (presente nel cast dell'ultimo Otello scaligero); la principessa di Bouillon (il cattivo dell'opera in questo caso è una donna) sarà il mezzosoprano Annarita Chiuri; lo sfortunato Michonnet sarà il baritono Sergio Bologna. La direzione dell'orchestra dei Pomeriggi Musicali è affidata a Luciano Acocella che la scorsa stagione ha diretto a Vigevano la Butterfly. la regia di Ivan Stefanutti e coreografie di Simonetta Manara. L'opera ha debuttato a Como riscuotendo successo di critica e di pubblico. I biglietti di ingresso vanno dai 12 ai 48 euro, informazioni al 0382-371206.

Mario Mainino

 

Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea (1866-1950)
libretto di Arturo Colautti, dalla commedia di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé
Opera in quattro atti
Prima: Milano, Teatro Lirico, 6 novembre 1902

Personaggi:
Adriana Lecouvreur, della Comédie Française (S); Maurizio, conte di Sassonia (T); il principe di Bouillon (B); la principessa di Bouillon (Ms); Michonnet, direttore di scena alla Comédie Française (Bar); l’abate di Chazeuil (T); Mlle Jouvenot, Mlle Dangeville, Poisson, Quinault, soci della Comédie Française (S, Ms, T, B); un maggiordomo (T); dame, signori, servi di scena, valletti. Balletto: Paride, pastorello frigio; Mercurio, messaggero di Giove; Giunone, dea della Serenità; Pallade, dea della Forza e della Saggezza; Venere, dea della Bellezza; Iridi, amazzoni, Cariti, amorini
 

Adriana Lecouvreur nacque grazie all’intraprendenza di Edoardo Sonzogno, l’instancabile editore della ‘Giovane Scuola’. Affidando a Cilea la storia della celebre attrice ammirata da Voltaire, amata dal conte Maurizio di Sassonia e morta prematuramente (avvelenata, si disse, da una rivale), Sonzogno sperava di ripetere il successo dell’ Arlesiana (1897). Per il libretto si ricorse ad Arturo Colautti, che aveva appena dato a Giordano il personaggio di Fedora (1898), e per la vicenda ci si ispirò a una commedia di Scribe e Legouvé, dove i protagonisti non sono che una pallida eco delle figure reali e l’intrigante e privo di scrupoli Maurice diventa un romantico uomo d’onore. Colautti fu abile nel costruire un testo adatto alle caratteristiche di Cilea, offrendo spunti sia alla sua vena lirico-elegiaca sia al suo gusto per il divertissement settecentesco. Alla prima rappresentazione, con un cast che comprendeva Enrico Caruso (Maurizio), Angelica Pandolfini (Adriana) e Giuseppe De Luca (Michonnet), l’opera ebbe l’accoglienza che l’editore si aspettava. Ultimo lavoro importante del compositore calabrese – che di lì a pochi anni abbandonò il melodramma a causa del temperamento schivo, del perfezionismo maniacale e della riluttanza a esperire nuove strade musicali di cui pure sentiva la necessità – Adriana Lecouvreur è entrata a far parte del repertorio internazionale e oggi compare spesso nei cartelloni teatrali.

Atto primo . Parigi, 1730. Nel foyer della Comédie Française gli attori si preparano ad andare in scena. La Jouvenot, in vesti orientali, dà gli ultimi tocchi all’acconciatura mentre la Dangeville, adagiata su un canapé, è già diventata la civettuola Lisetta di Follie d’amore . Vicino a un caminetto, sormontato dal busto di Molière, Quinault sta indossando un sontuoso turbante; a un tavolo da gioco, in costume da Crispino, Poisson controlla il trucco in uno specchio. Confuso tra comparse, macchinisti e servi di scena, Michonnet si sposta trafelato dall’uno all’altro attore, esaudendo ogni capriccio. Nel trambusto non passa però inosservato l’ingresso del principe di Bouillon, «il mecenate della Duclos», accompagnato dall’abate Chazeuil, «il ninnolo della moglie», generosi di galanterie. Intanto, da una porta laterale, con il copione tra le mani, appare la Lecouvreur negli abiti orientali della Rossana del Bajazet : «splendida, portentosa, musa, diva, sirena» esclamano gli uomini. Le donne voltano dispettosamente le spalle. Lei, con sprezzatura da primadonna, si schermisce (“Io son l’umile ancella”) e si apparta con Michonnet, che tenta invano di rivelarle il suo amore. Adriana è distratta da ben altri pensieri: la recita che l’aspetta e un «semplice alfiere», appena ritornato dalla guerra, sotto cui si cela il conte Maurizio di Sassonia. Inaspettatamente il giovane raggiunge Adriana nel foyer e con una dichiarazione appassionata (“La dolcissima effigie”) ottiene un appuntamento al termine della rappresentazione. In pegno l’attrice gli dona le violette che ha appuntato sul seno. Ma dietro le quinte si tessono trame diverse. Intercettato un biglietto della Duclos con un invito a Maurizio per la serata, il principe decide di smascherare l’amante organizzando una festa nel villino di sua proprietà scelto per il convegno. Ignora che non la sua protetta ma sua moglie ha scritto al conte di Sassonia, sempre pronto a rispondere ai richiami della principessa per nobili ragioni di Stato. Così dopo lo spettacolo, dove Adriana trionfa nonostante il dolore per l’improvviso diniego di Maurizio, tutti si dirigono al ricevimento, ciascuno seguendo i propri percorsi.

Atto secondo . Il ‘nido’ della Duclos alla Grange Batelière. Seduta a un tavolino, nel chiarore lunare che dalla Senna attraversa il giardino e si diffonde nel salotto, la principessa di Bouillon aspetta trepidante il conte Maurizio (“Acerba voluttà”), che si presenta in ritardo e con violette profumate tra i bottoni. Soltanto l’offerta del mazzetto convince la scomoda amante a mettere da parte i sospetti per concentrarsi sulle questioni importanti. Le notizie sono negative: nemici potenti contrastano l’ascesa del conte al trono di Polonia e vogliono l’arresto del pretendente. Maurizio progetta di fuggire, la donna, gelosa, lo trattiene. Il giovane implora comprensione (“L’anima ho stanca”) ma, a rendere più difficile il distacco, arriva inaspettato il principe, convinto di avere colto in flagrante la Duclos. Fortunatamente la principessa riesce a nascondersi e l’imbarazzo si spegne in una complice stretta di mano tra i due uomini. Intanto, mentre Chazeuil dispone per la cena, Adriana incontra, felicemente sorpresa, il suo alfiere, che le si mostra nella vera identità. I due si scambiano nuove promesse d’amore, di brevissima durata. Il maligno abate rivela alla Lecouvreur l’esistenza di un’altra donna, lasciandole intendere che si tratta della rivale Duclos. Maurizio non ha bisogno di fare appello ad arti seduttorie per convincere Adriana della propria buonafede: la donna desidera a tal punto credergli che si offre di aiutarlo. E sarà lei, in incognito, a liberare dal nascondiglio l’«amante per politico disegno», favorendone la fuga attraverso il giardino. L’incauta principessa perde però un braccialetto, che finisce fatalmente nelle mani di Adriana.

Atto terzo . La galleria dei ricevimenti al palazzo di Bouillon. Alle pareti specchiere e grandi ritratti, nel centro un palcoscenico con il sipario abbassato. Mentre i valletti completano i preparativi per una nuova festa, la principessa di Bouillon, in abito da gran gala, si aggira per la sala inquieta. La sua ignota salvatrice si è trasformata nel suo tormento: chi sarà? Maurizio l’amerà come lei dice? Nemmeno le facezie dell’abate riescono a placare la sua ansia e quando la Lecouvreur, ospite d’onore della serata, fa il suo ingresso in sala, la principessa ha un cattivo presentimento. Senza esitare, gli occhi fissi su Adriana, racconta di un duello in cui Maurizio sarebbe stato ferito e le sue illazioni trovano conferma. L’attrice scolora, perde le forze, ma poco dopo, vedendo l’ignaro e sorridente Maurizio, è a sua volta assalita dai dubbi: la principessa è forse la fuggitiva? Su richiesta dei presenti, il conte è costretto a esibire le sue prodezze militari (“Il russo Mencikoff”) prima che il principe annunci il balletto: un ‘Giudizio di Paride’ corredato di dee e di amorini, di ninfe e di pastori frigi con consegna rituale della mela alla padrona di casa. Alle squisitezze mitologiche gli invitati sembrano però preferire i segreti dell’alcova: a chi erano destinate le violette? Di chi è il bracciale trovato in giardino? Ingenuamente, Adriana e la principessa alimentano i pettegolezzi, la prima declamando un monologo di Fedra in cui si accusano «le audacissime impure, cui gioia è tradir», la seconda raccogliendo la provocazione e giurando, in cuor suo, vendetta.

Atto quarto . Un salottino di casa Lecouvreur al tramonto di un giorno di marzo. Michonnet, amico fedele, è venuto a trovare Adriana. Incapace di reggere agli intrighi e ai tradimenti, delusa e sfiduciata, l’attrice ha deciso di abbandonare le scene e passa il tempo a letto, avvolta da una cupezza che nessuno riesce a rischiarare. Una sola medicina potrebbe guarirla: Maurizio. Per questo Michonnet, vincendo le proprie resistenze, lo manda a chiamare. Anche i soci della Comédie non si rassegnano a perdere la loro primadonna e irrompono in casa sua festosi e carichi di doni. A poco a poco Adriana si lascia contagiare dall’allegria dei colleghi e promette che tornerà a recitare. All’esultanza degli amici si unisce anche la cameriera, che porta alla Lecouvreur un cofanetto di velluto cremisi appena recapitato. Il biglietto che lo accompagna è del conte di Sassonia. Nascondendo l’emozione, l’attrice distrae gli amici e si precipita verso il regalo: lo scruta, lo apre e d’improvviso, colta da malore, vacilla. Michonnet, che le è rimasto vicino, la soccorre e crede di capire: nella scatola, restituite al mittente, ci sono le violette. Adriana si dispera (“Poveri fiori”), ne annusa a lungo il profumo, poi le getta con rabbia nel caminetto. Intanto Maurizio, che non ha inviato alcun cofanetto ma ha subito risposto all’appello di Michonnet, entra nella stanza. È evidente che Adriana soffre. Lui le chiede perdono, la prega di sposarlo, si abbracciano. Ma la fine che li aspetta è diversa da quella che per un attimo hanno sognato. Il volto terreo, le pupille sbarrate, il corpo percorso da tremori, Adriana comincia a vaneggiare e poco dopo muore tra le braccia di Maurizio, vinta da quelle violette che qualcuno, forse la principessa di Bouillon, aveva avvelenato.

La macchinosità del libretto, retaggio dell’aggrovigliato intreccio di Scribe e Legouvé, e le incongruenze della trama (dovute a tagli incauti, quali, dalla prima versione, l’utile accenno a una polvere letale nota alla principessa e, dalla seconda, riferimenti chiarificatori ai gioielli della regina menzionati nel quarto atto), non hanno impedito a Cilea di fare di Adriana Lecouvreur un’opera compiuta, apprezzabile per finezza di invenzione melodica e per eleganza di scrittura orchestrale. Distinguendosi dalle consuetudini del verismo, nel cui alveo è stata spesso ricondotta, la partitura si astiene dall’enfasi anche nei momenti più drammatici della vicenda, ad esempio nella lunga sequenza finale, stilisticamente accostabile alle ‘scene di pazzia’ della tradizione operistica italiana. Meno convincente risulta invece la ripetizione dei temi (tra i più ricorrenti quelli ‘di Adriana’, ‘della Duclos’, ‘di Michonnet’, ‘delle violette’ e ‘dell’amore’), efficaci al loro apparire ma non adeguatamente elaborati per sostenere le numerose riprese cui vengono sottoposti. La figura della protagonista e il pathos delicato che Cilea le ha donato hanno sempre attratto numerose primedonne della lirica, da Mafalda Favero a Maria Caniglia, da Magda Olivero a Renata Tebaldi, da Renata Scotto a Raina Kabaivanska.

 

La vita di Francesco Cilea

Nato il 23 luglio 1866 manifestò ancor fanciullo la sua predisposizione per la musica rivelatasi prepotentemente dall’ascolto del finale della Norma di V. Bellini eseguito dal complesso musicale cittadino diretto dal suo primo docente.

Avviato agli studi nel Real Collegio di Musica San Pietro a Majella di Napoli, si distinse per il suo precoce ingegno guadagnandosi una medaglia d’oro del Ministero della Pubblica istruzione e la nomina a primo alunno maestrino.

Al termine del suo curriculum scolastico presentò come esame finale il melodramma "Gina" rappresentato con successo nel teatrino del Collegio.

Quest’opera gli aprì la strada per la composizione de "La Tilda", melodramma rappresentato nel 1892 nel Teatro Pagliano di Firenze, e al Teatro dell’Esposizione di Vienna.

Successivamente nel Teatro Lirico Internazionale di Milano nel 1897 presentò il dramma di L. Marenco "L’Arlesiana", avendo fra i protagonisti Enrico Caruso.

Nello stesso Teatro Lirico di Milano nel 1902 riscosse un buon successo la commedia-dramma di A. Colautti "Adriana Lecouvreur", il suo capolavoro.

Ancora a Milano al Teatro alla Scala rappresentò la tragedia "Gloria", diretta da A. Toscanini nel 1907.

Dopo aver composto nel 1913 un Poema Sinfonico in onore di G. Verdi eseguito al Teatro Carlo Felice di Genova, si dedicò all’insegnamento.

Fu quindi direttore del Conservatorio di Palermo e di Napoli, dove concluse la sua carriera di eminente didatta; a parte la produzione squisitamente teatrale, egli è autore anche di musica sinfonica, vocale, nonchè da camera.

Morì a Varazze il 20 novembre 1950, nella città’ ligure che gli offrì la cittadinanza onoraria.

L'Arlesiana (1897)
Adriana Lecouvreur (4 Atti, 1902)
Gloria (1907)
Gina (melodramma idillico, 3 Atti; Enrico Golisciani, da Catherine ou La Croix d'or von Mélésville, 1889 Neapolis)
La Tilda (melodramma 3 Atti, Anneldo Graziani, Angelo Zanardini; 1892 Firenze)


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