MARINI - IMPERATORE

 

CONSERVATORIO GIUSEPPE VERDI - Milano

Domenica 28 ottobre 1984 – ore 17,00
Sala Verdi
Giovanna MARINI
Il regalo dell'imperatore

Orchestra, cantanti della Scuola Popolare di Musica di Testaccio - Roma
Giovanna Marini, direttore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

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PROGRAMMA e NOTE :

IL REGALO DELL'IMPERATORE
Opera-oratorio per fanfara, voci e percussioni.
Libretto e musica di Giovanni Marini
scritto per la Scuola Popolare di Musica di Testaccio di Roma.


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Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

L'opera per quanto riguarda il libretto, prende le mosse da un fatto vero.
Alla fine del Milleottocento l'imperatore del Brasile, Dom Peiro lasciò la sua terra perché vecchio e ammalato e si rifugiò in Italia a riposarsi.
In Toscana incontrò l'anarchico Giovanni Rossi a cui regalò un pezzo di terra, Palmeira, dove questi potesse costruire il mondo ideale del suo sogno anarchico. Giovanni Rossi partì con sua moglie e con lui molti altri compagni, ma il sogno anarchico ben presto di fronte alla difficoltà della organizzazione e della vita svanì. La comune agricola del gruppo di Giovanni Rossi intitolatasi Colonia Cecilia visse pochi anni e terminò distrutta proprio dallo scontro di un ideale con la realtà quotidiana ed i suoi piccoli o grandi problemi.
L'opera «Il regalo dell'Imperatore» non parla di tutta la vicenda, ma prende spunto dal regalo dell'imperatore Dom Peiro agli anarchici toscani. Nell'opera l'impresa di Giovanni Rossi finisce fin dai primi momenti, e cioè nel viaggio. Ben tre volte il viaggio termina bruscamente perché ogni volta c'è qualcuno che non è d'accordo sulle premesse ideologiche e la loro attuazione.
L'ultimo a tradire è proprio Giovanni Rossi che vedendo che la sua donna Olimpia ha un debole per i traditori e non riuscendo a portare a termine l'impresa decide di usarla a suo favore per lo meno per conquistare definitivamente l'amore di Olimpia, cosa che infatti, appena egli tradisce, accade.
Il vero finale però è un altro: i cantanti e l'orchestra, che hanno sempre ubbidito al direttore d'orchestra, organizzatore anche dell'azione scenica, maestro di cerimonie, si rifiutano alla fine di uscire di scena come ordina il direttore, e improvvisano un bel finale trionfale e rabbioso di mero gradimento, quasi a dire che l'utopia non finisce mai.

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Segue la digitalizzazione del Libretto dell'opera
IL REGALO DELL'IMPERATORE
di
Giovanna Marini
e relativo .PDF elaborato dal sottoscritto nel 34° anniversario della rappresentazione
2018-1984

 Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore  Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore  Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore  Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore  Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore  Giovanna Marini Il regalo dell’imperatore

LIBRETTO IN FORMATO PDF

CONSERVATORIO GIUSEPPE VERDI - Milano
Domenica 28 ottobre 1984 – ore 17,00
Sala Verdi
Giovanna MARINI
Il regalo dell'imperatore
Orchestra, cantanti della Scuola Popolare
di Musica di Testaccio - Roma
Giovanna Marini, direttore
§§§

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Il regalo dell'Imperatore
L'opera per quanto riguarda il libretto, prende le mosse da un fatto vero. Alla fine del Milleottocento l'imperatore del Brasile, Dom Peiro lasciò la sua terra perché vecchio e ammalato e si rifugiò in Italia a riposarsi.
In Toscana incontrò l'anarchico Giovanni Rossi a cui regalò un pezzo di terra, Palmeira, dove questi potesse costruire il mondo ideale del suo sogno anarchico. Giovanni Rossi parte con sua moglie e con lui molti altri compagni, ma il sogno anarchico ben presto di fronte alla difficoltà della organizzazione e della vita svanì. La comune agricola del gruppo di Giovanni Rossi intitolatasi Colonia Cecilia visse pochi anni e terminò distrutta proprio dallo scontro di un ideale con la realtà quotidiana ed i suoi piccoli o
grandi problemi.
L'opera Il regalo dell'Imperatore non parla di tutta la vicenda, ma prende spunto dal regalo dell'imperatore Dom Peiro agli anarchici toscani.
Nell'opera l'impresa di Giovanni Rossi finisce fin dai primi momenti, e cioè nel viaggio. Ben tre volte il viaggio termina bruscamente perché ogni volta c'è qualcuno che non è d'accordo sulle premesse ideologiche e la loro attuazione.
L'ultimo a tradire è proprio Giovanni Rossi che vedendo che la sua donna Olimpia ha un debole per i traditori e non riuscendo a portare a termine l'impresa decide di usarla a suo favore per lo meno per conquistare definitivamente l'amore di Olimpia, cosa che infatti, appena egli tradisce, accade.
Il vero finale però è un altro: i cantanti e l'orchestra, che hanno sempre ubbidito al direttore d'orchestra, organizzatore anche dell'azione scenica, maestro di cerimonie, si rifiutano alla fine di uscire di scena come ordina il direttore, e improvvisano un bel finale trionfale e rabbioso di mero gradimento, quasi a dire che l'utopia non finisce mai.
Avanti e indietro, tra Roma e Parigi
Il regalo dell'Imperatore di Giovanna Marini è una commissione dello Stato francese, coprodotta dall'ALPHA FNAC, dal Théàtre Gerard Philippe di St. Denis, dal TNP di Villeurbanne, dalla Scuola Popolare di Musica di Testaccio di Roma. Tra le istituzioni che hanno collaborato alla sua realizzazione figura il Ministero della cultura, l'Association Francaise d'action artistique, l’ONDA.
Non è sorprendente, perché ricalca uno schema già visto e sentito molte altre volte, il fatto che un tale concorso di forze riguardi il lavoro di una musicista, di un'intellettuale, alla quale negli ultimi anni il suo Paese — il nostro — ha offerto ben poche occasioni per presentare i risultati della propria ricerca.
Non sorprende nemmeno il grande successo in terra francese di Giovanna Marini, del suo gruppo vocale, e (con l'insieme strumentale del Testaccio) di questa stessa opera, che dopo aver debuttato in Spagna (a Barcellona) e dopo aver girato in varie città transalpine, ha «tenuto» a Parigi per un mese, nell'autunno dello scorso anno.
Viceversa, la stessa eccezionalità delle poche apparizioni italiane de II regalo dell'Imperatore (il Festival di Polverigi, il Cantiere di Montepulciano, pochissime altre rappresentazioni, prima di questo debutto milanese) è sintomo di un affetto e di una stima che si potrebbero quasi dire clandestini.
Ma si parlava del successo francese. Il fatto è che fuori dai nostri confini (non solo in Francia, quindi) è difficile rendersi conto che un Paese che fino a ieri era considerato il laboratorio di alcune delle più interessanti trasformazioni culturali, sociali e politiche del dopoguerra europeo sia diventato (o meglio, si sforzi di apparire) la più fedele delle copie sbiadite degli Stati Uniti (o di ciò che confusamente si ritiene che gli Stati Uniti debbano essere).
L'incomunicabilità sfiora l'assurdo; cosf se Parigi dedica uno dei suoi maggiori avvenimenti culturali di quest'autunno a Pier Paolo Pasolini (tra l'altro, con la partecipazione della stessa Giovanna Marini e, di rappresentanti autorevoli della nostra letteratura, del nostro teatro, del nostro cinema), in Italia si dice che i Francesi hanno «scoperto» Pasolini, come se da noi la discussione fosse ormai finita per sempre.
In realtà la saracinesca che abbiamo voluto (tutti?) abbassare sugli anni Settanta, con le scuse credibilissime degli «anni di piombo» e della rivoluzione informatica, è tutt'altro che chiusa, e forse da lontano ciò che appare attraverso lo spiraglio può essere più facilmente distinguibile.
II libretto de II regalo dell'Imperatore si presta (detto senza malizia, qualche volta accondiscende) a questa lettura «da lontano», sia in termini geografici che temporali, retrospettivi: la vicenda di questa utopia naufragata nelle divisioni, nelle incertezze, nei tradimenti, sarebbe fin troppo trasparente se non fosse riscattata dall'invenzione di Olimpia, il personaggio femminile che si innamora dei traditori per tornare tra le braccia di Giovanni ogni volta che il protagonista prende una decisione (metafora leggibilissima anche questa, ma pungente nella sua semplicità). La stessa ribellione finale dei musicisti, una cosa così assurda per gli stranieri da farla ritenere un'invenzione di Fellini (e da far gongolare per le risate perfino il mistico Stockhausen), può perdere, vista «da vicino», l'efficacia teatrale che certamente deve avere per il pubblico d'oltralpe. Con questo non si vuoi dire che II regalo dell'Imperatore sia scritta per un pubblico diverso dal nostro, che sia in qualche modo un «prodotto per l'esportazione»; ma è indubbio che una certa essenzialità dei contenuti e quella facilità di scrittura che viene quando si ha la certezza dell'attenzione del pubblico derivino — beneficamente — dai successi francesi. Del resto questa condensazione, questo understatement, questo equilibrio quasi «classico» tra gli elementi che hanno caratterizzato lo studio e la ricerca di Giovanna Marini si riscontrano — con altrettanta evidenza che nel libretto — in tutto il lavoro musicale di quest'opera.
Giovanna Marini è nota soprattutto per le sue ricerche sulla vocalità contadina, dalle quali ha tratto il materiale prima per operazioni di folk-revival e poi per studi ed elaborazioni originali, sulle quali torneremo tra poco; è stata contemporaneamente una delle voci più seguite della canzone politica italiana, la più problematica e la meno incline allo slogan (come, del resto, la maggior parte della produzione del Nuovo Canzoniere. Italiano); non ha mai smesso di coltivare le sue prime esperienze musicali, avvenute in ambito «colto» (la chitarra con Segovia, il liuto in un gruppo di musica antica). Ad un certo punto della carriera artistica di Giovanna Marini tutte e tre queste vene musicali sembrano convivere affiancate, senza comunicazione apparente: ne è un esempio il disco / treni per Reggio Calabria, dove insieme alla più celebre delle ballate politiche della nostra autrice appaiono le riproposte di canti popolari e, per due volte, una Pavana neoclassica. Ma è da li, nel clima di confronto fra generi messo a fuoco da manifestazioni come Musica/Realtà, in anni in cui le prime stagioni di Musica nel nostro tempo sono frequentate dallo stesso pubblico che affolla i concerti di free jazz o di rock sperimentale, è da lì che nasce l'intreccio di tecniche e di stili che porta Giovanna Marini alle sue realizzazioni più personali. Con il quartetto vocale, uscito dalla Scuola Popolare del Testaccio, realizza Correvano coi carri, e più tardi (nel 1979), La grande madre impazzita (cantata e sonata), che anche per l'intervento di un trio jazz è l'esperienza che più si avvicina a II regalo dell'Imperatore. Lo studio e l'insegnamento delle tecniche vocali contadine costituisce l'aspetto indubbiamente più importante di questa fase di maturazione compositiva. Da un lato ci sono i problemi di notazione, tanto più pressanti quanto meno ci si può fidare dell'orecchio «urbano», che tende a correggere come errori intonazioni non corrispondenti a modi o a temperamenti «colti» o «leggeri». Da un altro lato si impone uno studio della melodia, un vero tabù teorico della musicologia (non è un caso che se ne occupino più che altro i semiologi, da Stefani a Nattiez, da Tagg ai teorici sovietici dell’'intonazia, lasciando ai musicologi «puri» il territorio più legittimo e scontato dell'armonia). Da un altro lato ancora, Giovanna Marini sviluppa una propria teoria del rapporto fra testo e musica (sempre in senso melodico) che «riscopre», da tutt'altra prospettiva, le conclusioni dello studio intrapreso a suo tempo da Janacek. Infine, il rapporto con l'ambiente musicale orientato al jazz della Scuola di Testaccio spinge a una riflessione sulle tecniche improvvisative, non più secondo gli schemi a varianti del canto contadino, ma all'interno di organici vocali o vocali-strumentali come quelli di cui Giovanna Marini si serve. Probabilmente anche la nostra autrice concorderà che i risultati musicali più alti raggiunti da questa ricerca a più direzioni sono quelli del quartetto vocale, là dove l'intensità di scrittura (intesa anche come creazione di trame per l'improvvisazione) si unisce alle straordinarie doti delle voci scoperte e plasmate da Giovanna Marini (compresa la sua, naturalmente), messe in evidenza dall'accompagnamento scarno e funzionale della chitarra. Una maturità più che notevole in questo senso si trova già ne La grande madre impazzita, dove ancora, però, gli interventi del gruppo strumentale Schiaffini - lannaccone - Colombo appaiono come corpi estranei, più o meno con la stessa funzione di cesura assegnata qualche tempo prima alla Pavana pergolesiana (o strawinskiana).
Con Il regalo dell'Imperatore si pone, quindi, il problema del rapporto tra una scrittura vocale che non può più beneficiare del virtuosismo cameristico del quartetto, e un accompagnamento strumentale obbligatoriamente meno duttile nella dinamica e meno elastico da un punto di vista ritmico rispetto all'abituale chitarra. Un problema non da poco, se è vero che le riflessioni dell'autrice sulla melodia e sul canto contrappongono al ritmo metronomico dell'accompagnamento orchestrale quello vitale del respiro e del la parola. La soluzione non può non risiedere in qualche forma di compromesso, o meglio (perché il termine potrebbe far pensare a una rinuncia) alla ricerca di un nuovo equilibrio tra parti vocali e parti strumentali, e — se si può dire così — del «grado di elaborazione» specifico delle une e delle altre: ridotti gli svoli e le complesse rincorse cromatiche che caratterizzano la scrittura per quartetto vocale, ma contemporaneamente elevato l'accompagnamento ad un fitto intreccio polifonico degli strumenti a fiato.
E' significativo che il terreno di questo equilibrio sia quello delle reminiscenze musicali «colte» di Giovanna Marini, con risultati a volte sorprendentemente affini al clima di esperienze precedenti di questo tipo (un nome per tutti: Eisler), ma esorcizzati dalle sapide didascalie dell'autrice-direttrice, una sorta di autoanalisi semiotica e ironica dei propri cliché compositivi.
Questo approdo stilistico (e organizzativo: dalle Case del Popolo e dai Festival de l'Unità, descritti con bellissima vena nel libro Italia quanto sei lunga, ai teatri di Parigi) non deve stupire chi ricorda la Giovanna Marini dell'autonomia della cultura contadina. In realtà la sua preoccupazione per i rapporti tra le diverse culture musicali, quella da cui proviene e quelle a cui si sente vicina, è sempre stata costante: ha cercato di far capire le ragioni di Beethoven nei circoli popolari, e ha scritto un saggio per spiegare ai
musicisti «colti» cosa si può imparare dalla vocalità contadina (è su «Musica/Realtà» numero 9: quanti compositori l'avranno poi letto?).
// regalo dell'Imperatore nasce da questo lavoro di spola: non solo geografico, come ormai sarà chiaro.
Nella sua apparente inattualità, quanto di più autenticamente moderno si possa dare (mai sentito parlare del concetto di interfaccia?). Più di una annotazione meritano, in conclusione, gli esecutori. La dicitura sul libretto, «scritto per la Scuola Popolare di Musica di Testaccio», rende il giusto omaggio non solo ai musicisti che partecipano alla realizzazione dell'opera, ma all'ambiente musicale in cui si è svolto il lavoro di Giovanna Marini in questi ultimi anni. La passione e la dedizione con cui insegnanti e allievi di questa scuola si applicano ai più svariati progetti di musica d'insieme (dalle orchestre da ballo per l'Estate Romana ai gruppi sperimentali) dovrebbe far riflettere: quanta musica d'insieme si fa nelle scuole musicali «vere»? Che rapporti ci sono tra chi studia strumento e chi studia composizione? Anche questi piccoli messaggi ce li porta II regalo dell'Imperatore.
Franco Fabbri


Giovanna Marini (Roma, 1937), si diploma nel '61 in chitarra al Conservatorio di Santa Cecilia avendo studiato col maestro Benedetto Di Ponio. Si perfeziona con Andres Segovia all'Accademia Chigiana di Siena. Studia composizione con Carlo Pinelli. Suona per tre anni liuto e arciliuto nel «Concentus Fidesque Antiqui». Partecipa alla fondazione del Folk Studio nel '61 con Harold Bradley,dove nell'inverno del 1963 — in occasione della tournée italiana di Pete Seeger — incontra Roberto Leydi che le propone di entrare nel Nuovo Canzoniere Italiano. Da quel momento abbandona l'orchestra rinascimentale e partecipa a tutta l'attività del Nuovo Canzoniere Italiano, da l'Altra Italia. Prima rassegna della canzone popolare vecchia e nuova (1964) a Bella ciao (1964), da Ci ragiono e canto (1966) alle posteriori iniziative del gruppo. In seguito compie in Puglia una ricerca di materiale popolare dal quale trarrà idee e studio per l'apprendimento dei modi contadini e la loro trasposizione a materiali urbani, ricerca confluita nel lavoro dell'Istituto Ernesto de Martino. Si dedica anche allo studio di una grafia adattata alla trascrizione di musica contadina. Dal '65 al '66 vive negli Stati Uniti, dove canta in locali di musica jazz e musica popolare. Tornata in Italia incomincia a raccontare le proprie esperienze di vita e di lavoro in lunghi modi, che vanno dal talking americano al «recitar cantando», e che chiama «Ballate». Con il Canzoniere del Lazio, Gianni Nebbiosi, Elena Morandi e il gruppo dell'«Albero motore», mette in scena nel 1972 lo spettacolo Fare musica. Collabora con Sandro Portelli alle prime fasi dell'attività del Circolo Gianni Bosio. A lei si debbono le colonne sonore di film quali II sospetto di Maselli, Porci con le ali e I giorni cantati di Paolo Pietrangeli. Nel 1977 ha pubblicato il diario Italia, quanto sei lunga (Milano, Mazzetta - Istituto de Martino). Attualmente insegna alla Scuola di Musica Popolare di Testaccio a Roma. La Scuola Popolare di Musica di Testaccio è una associazione culturale nata nell'autunno del 1975 per iniziativa del contrabbassista Bruno Tommaso e di alcuni musicisti dell'area jazzistica romana. Già da alcuni anni era viva a Roma l'esigenza di nuovi spazi per una didattica musicale indirizzata ad una più ampia fascia di persone e svincolata dai metodi, dai tempi, e dalle scelte dei Conservatori. Insieme a Bruno Tommaso, collaborarono al progetto iniziale Giancarlo Schiaffini, Eugenio Colombo, Tommaso Vittorini, Martin Joseph, Michele Iannaccone, Nino De Rose, Maurizio Giammarco, Gerardo lacoucci ed Enrico Pierannunzi insieme ad altri giovani musicisti allora meno noti, provenienti dal jazz o da altre esperienze musicali, che costituirono la prima generazione di allievi. Si trattò di occupare e rendere agibili dei locali inutilizzati nei pressi del vecchio Mattatoio Comunale e di organizzare delle rassegne musicali per finanziare la Scuola. Nel marzo del '76 la Scuola ha cominciato la sua attività offrendo agli studenti corsi di strumento, laboratori di musica di insieme e spazi per provare e formare nuovi gruppi, e agli insegnanti la possibilità di incontrarsi e scambiare esperienze. Sono nati dall'esperienza di Testaccio gruppi come «Strutture di Supporto» e il trio S.I.C. e prodotti come l'opera «La grande madre impazzita» di Giovanna Marini. Giovanna Marini ha cominciato a collaborare con la Scuola nel marzo del '77, tenendo un corso sull'uso della voce e sulla grafia non convenzionale. In questi sette anni di attività molti musicisti si sono avvicendati nella Scuola, alcuni dei fondatori non ci insegnano più, e molti degli allievi della prima generazione sono oggi insegnanti, o sono coinvolti nella gestione della scuola; la struttura assembleare e collettiva è rimasta pressoché immutata e fa della scuola un'esperienza unica nel panorama musicale romano.

 

 

 

Note:

Questa pagina vuole essere un omaggio alla compositrice ed alla sua opera, ma coprire anche un buco storico nelle documentazioni on-line che non sono reperibili su questo avvenimento come di molti altri che si sono realizzati ma si sono persi senza lasciare di loro alcuna traccia.

Le scansioni provengono dall'archivio di Concertodautunno.



 
 


 
   

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