Tetraktis

 

Sala Verdi del Conservatorio
Martedì 15 gennaio 2013, ore 20.30
Tetraktis Percussioni
Matteo Flori
Gianni Maestrucci
Laura Mancini
Leonardo Ramadori
Gianluca Saveri (arrangiamenti)
Alessandro Carbonare clarinetti e duduk

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Programma:

Stephen “Steve” Reich (New York 1936)
“Music for Pieces of Wood” per quartetto di percussioni (1973) (ca. 5,5’)
Igor Stravinskij (Lomonosov 1882 - New York 1971)
Tre pezzi per clarinetto solo (1919) (ca. 5’)
Béla Bartók (Nagyszentmiklós/Sânnicolau Mare 1881 - New York 1945)
“Danze rumene” per clarinetto e quartetto di percussioni
(1917, arr. G. Maestrucci) (ca. 7’)
Nikolaj Rimskij-Korsakov (Tichvin 1844 - Ljubensk 1908)
“Il volo del Calabrone” dall’opera “La favola dello zar Saltan”
per quartetto di percussioni (1900, arr. G. Saveri) (ca. 5’)
Antonino Pasculli (Palermo 1842 - 1924)
“Le Api” per clarinetto e quartetto di percussioni (1874, arr. G. Saveri) (ca. 6,5’)
Riccardo Panfili (Terni 1979)
“F for Fake” per clarinetto e quartetto di percussioni (2012) (ca. 8,5’)
Pedro Itturalde (Falces 1929)
“Suite Hellénique” per clarinetto e quartetto di percussioni
(1988, arr. A. Carbonare) (ca. 10’)
Gioachino Rossini (Pesaro 1792 - Passy 1868)
Sinfonia da “L’Italiana in Algeri” per quartetto di percussioni
(1813, arr. G. Saveri) (ca. 5’)
Giovanni Sollima (Palermo 1962)
Suite da “Millennium Bug” per quartetto di percussioni (1999) (ca. 9’)
“La via della seta”
Suite di temi e ritmi della tradizione popolare asiatica per duduk e quartetto
di percussioni (ca. 6’)


Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it  - e-mail: info@quartettomilano.it


Seguono immagini della serata:

 

 

I complimenti al termine del concerto prima dell'assalto dei giovani del pubblico
alla caccia di un autografo.

L'autore Riccardo Panfili di "F for Fake" con Laura Mancini e il direttore Carlo Boccadoro

 

Il direttore Carlo Boccadoro con l'autore Riccardo Panfili.


Alcuni dei molti strumenti utilizzati nel corso del concerto.

 

 
 
 

Note:

Nessuna classe di strumenti musicali ha vissuto uno sviluppo così impetuoso come quello che ha investito le percussioni nel secolo scorso. I motivi sono stati espressi in maniera sintetica da John Cage: «La percussione è tutta aperture. Non solo è illimitata. È infinita. Non ha niente a che fare con gli archi, coi legni o con gli ottoni (sto pensando agli strumenti delle orchestre), anche se questi strumenti, quando volano via da quella stìa per polli che è l’armonia, due o tre cose le potrebbero imparare, dalla percussione». Apertura significa anche capacità di dialogare con l’altro e amore per ciò che rappresenta la storia.
Queste caratteristiche sono l’elemento essenziale di un programma eterogeneo come questo. Il punto di partenza è uno dei lavori più conosciuti di Steve Reich, Music for Pieces of Wood. I “pezzi di legno” sono cinque paia di claves, strumenti di origine cubana usati in tutte le orchestre di musica da ballo latino-americana. I primi compositori a introdurre le claves nelle loro partiture furono gli americani, a partire da Edgar Varèse, generando una sorta di tradizione. Reich non ha scelto a caso il suono acuto e penetrante delle claves, così tipico del paesaggio culturale americano. All’inizio degli anni Settanta Reich si era recato per alcune settimane in Ghana, per studiare le caratteristiche della musica africana con il percussionista Gideon Alorwoyie.
La conoscenza di tradizioni musicali non occidentali produsse una svolta rilevante nella sua produzione. Reich lasciava la sua tipica tecnica dello sfasamento ritmico di cellule melodiche e armoniche ripetitive per mettere a fuoco una scrittura ritmica più elaborata e complessa. Music for Pieces of Wood è un lavoro articolato in tre parti, ciascuna delle quali è organizzata attorno a delle unità di base. I mattoni della costruzione per così dire sono tre elementi ritmici rispettivamente in 6/4, 4/4 e 3/4. Gli esecutori hanno la libertà di decidere quante volte ripetere le varie formule, finché il segnale di un musicista indica la coda del lavoro. Reich teneva a sottolineare come il carattere ripetitivo della sua musica fosse rivolto a mettere in luce un processo graduale, nel quale l’ascoltatore era indotto a prendere coscienza di elementi tradizionali della musica occidentale, come la modulazione o il contrappunto.
Del tutto lontano dai problemi di Steve Reich, Igor Stravinskij scrisse i Tre Pezzi per clarinetto solo in Svizzera nel 1919, dedicando il lavoro al mecenate e clarinettista dilettante Werner Reinhart. Il primo dev’essere suonato Sempre p e molto tranquillo, mentre l’ultimo reca l’indicazione f d’un bout à l’autre. Il radicale contrasto tra i due pannelli estremi è mediato dall’episodio centrale, che manifesta non solo un’ampia tavolozza di colori, ma anche una sorta di mercuriale instabilità d’umore. Stravinskij rinchiude in questa minuscola galleria di aforismi mondi del tutto diversi. Difficile infatti non sentire nel delicato modalismo del Primo, da suonare con il cupo e vellutato clarinetto in la, un’eco delle impressionistiche Lyriques japonaises, mentre il petulante pezzo finale, con le sue inflessioni popolaresche guarda invece al mondo dell’Histoire du Soldat. Gli strumenti a percussione dispongono di una tale gamma di soluzioni timbriche che un musicista è quasi sollecitato a immaginare delle trascrizioni. La collaborazione di un virtuoso come Carbonare ha suggerito a due musicisti dell’ensemble Tetraktis, Gianni Maestrucci e Gianluca Saveri, di reinventare con fantasia alcune pagine popolari come le Danze rumene di Bartók e Il volo del Calabrone di Rimskij-Korsakov. A queste si aggiunge anche un pezzo, Le Api di Antonino Pasculli, un tempo molto gradito nelle sale da concerto. Pasculli è stato un celebre virtuoso dell’Ottocento, tanto da meritare il titolo (piuttosto inflazionato) di Paganini dell’oboe. Le sue composizioni erano soprattutto trascrizioni virtuosistiche di pezzi noti dell’opera italiana. Al genere descrittivo appartiene invece il suo lavoro più fortunato, Le Api, indicato come “Studio caratteristico per oboe e pianoforte”. La musica intende imitare la natura, come recita l’indicazione pianissimo simile al ronzio delle api. Lo strumento solista, in questo caso il clarinetto, deve mantenere fino alla fine un’eccezionale agilità nelle rapide quartine di semibiscrome e allo stesso tempo una flessuosa leggerezza di suono, sostenuta da un delicato intarsio melodico e armonico di percussioni metallofone. Le Danze popolari rumene di Bartók sembrano votate invece alla metamorfosi. Il primo a trascriverle infatti fu proprio l’autore, che prese una serie di brevissime danze per pianoforte ispirate alla musica contadina della Transilvania e le trasformò nel 1917 in un lavoro per piccola orchestra. Le Danze rumene sono diventate in seguito molto popolari anche nella versione per violino e pianoforte e nel corso del tempo hanno assunto svariate fogge, prima di arrivare alla trascrizione di Maestrucci. Il volo del Calabrone di Rimskij-Korsakov ha collezionato un numero ancora più alto di versioni, compreso un Guinness dei primati per l’esecuzione più veloce su una chitarra elettrica. In origine era semplicemente un interludio orchestrale dell’opera La favola dello zar Saltan. Il titolo deriva dal fatto che in quel punto il cigno magico trasforma in calabrone il figlio dello Zar, che desidera conoscere il destino del padre senza essere visto. La trascrizione serve a mettere in mostra soprattutto il virtuosismo degli esecutori. Analogo discorso vale anche per la Sinfonia dall’“Italiana in Algeri” di Rossini. Tenuto conto che l’opera intera fu scritta in meno di un mese, la Sinfonia non è soltanto un capolavoro di spirito e d’intelligenza, ma anche un piccolo miracolo di abilità artigianale. Del recente lavoro F for Fake di Riccardo Panfili, un autore emergente della scena musicale contemporanea, abbiamo una descrizione di prima mano: «F for Fake: l’ultima fatica cinematografica di Orson Welles. Un saggio in forma filmica sulla potenza dell’arte e sulla magia del finto, sul luccichìo abbagliante della falsificazione. Il pezzo tenta di mimare il caleidoscopio di stili e tecniche cinematografiche messe in campo da Wells».
Anche Giovanni Sollima ha lasciato una descrizione del suo Millennium Bug, un brano articolato in cinque parti, dal quale il Tetraktis ha tratto una suite presentando gli episodi III, II e I. Si tratta di «una breve riflessione su un’ansia che divide equamente virtuale e reale, tecnologia e spiritualità, un’antica ed ancestrale apprensione che l’uomo prova nei confronti delle grandi transizioni». Il lavoro nasceva in effetti in un periodo di diffusa e poco motivata apprensione per i possibili effetti sul sistema informatico globale derivati dal passaggio dal 31 dicembre 1999 all’1 gennaio 2000. Si temeva infatti che il difetto (bug) nella programmazione del sistema avrebbe potuto provocare catastrofi a catena. Per fortuna invece l’unica conseguenza del Millennium Bug è stata il lavoro di Sollima, un classico per quartetto di percussioni entrato nel repertorio di molti ensemble di percussioni in tutto il mondo. La Suite Hellénique è uno dei lavori più noti del sassofonista e compositore spagnolo Pedro Itturalde. Scritta in origine per quartetto di sassofoni, la Suite è articolata in quattro parti, così descritte dall’autore: «Il primo movimento rappresenta un’introduzione, formata da motivi del folklore greco, e dopo s’incatenano uno dopo l’altro movimenti di foggia differente (Funky, Vals, cadenze e pezzi greci).
Tutto ciò è conforme all’intenzione di creare un linguaggio, di jazz principalmente, nel quale si mescolano diversi stili e generi, il cui criterio interpretativo tuttavia costituisce l’unità del lavoro». La trascrizione di Carbonare sfrutta l’affinità strutturale tra la tecnica del clarinetto e quella del sassofono. Il concerto si chiude con una suite liberamente ispirata alle musiche della vasta regione asiatica influenzata dal duduk, un antico strumento della tradizione armena. Il duduk mescola caratteristiche di vari strumenti.
La doppia ancia infatti è tipica della famiglia dell’oboe, mentre la forma cilindrica ricorda il clarinetto. Inoltre il duduk presenta somiglianze con strumenti dell’Estremo Oriente, come il guanzi cinese e l’hirichiki giapponese. Il suono infine è profondamente legato alla cultura e alla lingua armena, di cui rappresenta una sorta di ancestrale canto dell’anima. La musica per duduk quindi costituisce un antichissimo crocevia di storie e di esperienze diversissime, che invitano gli spettatori a pensare alla musica come un infinito e sempre nuovo viaggio nello spazio e nel tempo. Note di Oreste Bossini dal programma di sala.

Tetraktis Percussioni
Fin dalla fondazione nel 1993, Tetraktis Percussioni si caratterizza per innovazione, varietà di repertorio, curiosità e passione. I membri dell’ensemble, dopo gli studi al Conservatorio di Perugia, hanno preso parte a corsi e master class di G. Mortensen, D. Friedman, M. Rosen, R. Wiener, R. van Sice, D. Searcy, M. Quinn, R. Schulkosky, M. Ben Omar. L’ensemble ha al suo attivo concerti in Italia, Europa e Stati Uniti anche in collaborazione con orchestre e direttori di primo piano. Su invito dell’ensemble svedese Kroumata ha eseguito “Drumming” di Steve Reich. L’impegno dell’ensemble nella musica contemporanea ha portato nuovi impulsi nella scena musicale italiana con commissioni a Giovanni Sollima, Carlo Boccadoro, Roberto Andreoni, Paolo Ugoletti, Thomas Briccetti, Tonino Battista, Fernando Sulpizi, Carlo Galante, Carlo Crivelli, Paolo Coggiola, Ciro Scarponi, Ramberto Ciammarughi, Maurizio Curcio, Alessandro Annunziata, Fabrizio Nocci, Davide Zannoni, Gianluca Cangemi. Le collaborazioni di Tetraktis Percussioni spaziano in tutti i campi musicali. In ambito didattico ha realizzato programmi educativi di grande successo. In campo discografico ha debuttato con “Millennium Bug” al quale è seguito “Drama” realizzato con artisti ospiti provenienti da ogni campo musicale.

Alessandro Carbonare, clarinetto e duduk
È per la prima volta ospite della nostra Società. Alessandro Carbonare clarinetto Primo clarinetto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia dal 2003, Alessandro Carbonare ha vissuto a Parigi, dove è stato primo clarinetto solista dell’Orchestre National de France. Ha collaborato inoltre con i Berliner Philharmoniker e con la New York Philharmonic. Si è imposto nei più importanti concorsi internazionali. Appassionato camerista, è da sempre membro del Quintetto Bibiena e collabora regolarmente con rinomati artisti. Guest Professor alla Juilliard School di New York, al Royal College of Music di Londra, al Conservatorio Superiore di Parigi e alla School of Arts di Tokyo, ha fatto parte delle giurie di importanti concorsi internazionali. Su invito di Claudio Abbado è attualmente primo clarinetto dell’Orchestra del Festival di Lucerna e dell’Orchestra Mozart. Collabora inoltre come primo clarinetto con la New York Philharmonic Orchestra e la Chicago Symphony Orchestra. Vincitore di due Diapason d’oro, ha registrato per Deutsche Grammophon il Concerto KV 622 di Mozart e, per Decca, il CD “The art of the Clarinet”. Sky-Classica gli ha dedicato un ritratto nella serie “I Notevoli”. È docente di clarinetto all’Accademia Chigiana di Siena. È stato ospite della nostra Società con il Quintetto Bibiena nel 1995, 2006 e nel 2011 con il Quartetto di Cremona.

 
 


 
 

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